Senza negare l’esistenza del virus, esiste però una narrazione mediatica enfatizzata che fa leva sulla parte più sensibile dei cittadini che è l’istinto di sopravvivenza.
Questo induce a vivere in un clima di paura in cui la gente è disposta a rinunciare a tutto, ad accettare acriticamente e supinamente questo modo dispotico di gestire l’emergenza sanitaria.
Limitare alcuni diritti costituzionali quando c’è di mezzo la tutela collettiva è possibile. Quello che è inaccettabile è comprimere in maniera assoluta tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione ai cittadini e annullare tutte le procedure costituzionali previste.
Non neghiamo la possibilità di contrarre una malattia che può, in taluni e sporadici casi rivelarsi grave. Bisogna prendere atto della realtà. Nessuno di noi è “negazionista” come cialtronescamente politici e giornalisti filo governativi hanno definito le persone non allineate ai diktat.
Non è negare il virus l’affermare che gran parte dei positivi sono asintomatici e quindi, secondo alcuni esperti, non contagiosi. Non è negare il virus avere perplessità sulla affidabilità dei tamponi effettuati. Non è negare il virus la constatazione che il numero dei contagiati trasmessi dai mainstream rileva anche i tamponi che vengono ripetuti più volte dallo stesso soggetto. Non è negare il virus leggere dai mainstream che si sta ancora studiando un test valido per distinguere la normale influenza dal Covid 19. Quest’ultima affermazione lascia perplessi quando si legge ancora che l’influenza quest’anno è scomparsa. Qualche “negazionista” potrebbe dire che ha semplicemente cambiato nome!
Le terapie intensive hanno i problemi di saturazione, ma sono gli stessi problemi rilevati anche gli anni scorsi, dovuti ai tagli alla sanità imposti dai governi che dovevano inderogabilmente e indiscutibilmente seguire le regole impostegli dalle direttive europee. Le stesse correnti politiche che oggi “latrano” in attesa del MES salvifico.
MES e altri fondi (non specificati nell’an e nel quantum) che, chiaramente, saranno gestiti dalle fantomatiche task force nominate ad hoc dai nostri cari premier, con contratti e normative chiaramente secretate.
Un altro aspetto importante riguardo i dpcm è la motivazione. Il DPCM dal punto di vista tecnico è un documento attuativo. A monte ci devono essere una legge, un decreto legge oppure un decreto legislativo.
Qui abbiamo dei decreti in sostanza vuoti nel loro contenuto, che rimandano all’esecutivo il compito di definire ciò che si può o non si può fare. Di fatto questi dpcm disciplinano in modo contradditorio ogni regolamentazione.
Quando si impone il coprifuoco in pieno spirito dittatoriale non è necessario motivare, ma è sufficiente fare un riferimento al contenimento della curva ….
In una democrazia occorrerebbe dimostrare perché questa limitazione “nazistoide” è necessaria…
Se si decide che i bar devono chiudere ma gli stessi bar situati in autostrada possono rimanere aperti, è necessario definire il criterio adottato.
Inoltre, riguardo ai ristoranti, prima sono stati costretti a costosi investimenti per adeguarsi alle normative; poi devono chiudere alle 18.00, provocando una significativa riduzione di fatturato.
Il ministro Spadafora il 21 di ottobre dichiara che dai controlli dei NAS emerge un rigore rispettoso nelle palestre e nelle piscine; non ci sono evidenze di focolai partite da palestre o piscine. Il governo che fa? chiude palestre e piscine. Mi chiedo qual è il motivo di questo accanimento.
L’unica cosa sensata che emerge da tutto ciò sembra essere il desiderio del governo di distruggere interi comparti dell’economia
Oltretutto sono indefiniti e lacunosi nei loro obblighi e divieti. Ne è un esempio il divieto di transito in alcune strade o piazze nei centri urbani per evitare situazioni, non meglio definite, di “assembramento”
Ma questa indefinizione dei concetti significa che si demanda ai sindaci la possibilità di intervenire in modo più o meno autoritaristico sulla libera circolazione dei suoi concittadini in strada.
Ormai da molti mesi la nostra Costituzione viene calpestata, le nostre vite e i nostri diritti umiliati da strumenti mai utilizzati in precedenza: i famigerati DPCM del presidentissimo Conte. Questa tipologia di provvedimento fa parte di atti amministrativi e deve trovare fondamento in un atto avente forza di legge ed essere motivato.
Iniziamo subito ponendoci delle domande: I dpcm del Presidente del Consiglio sono costituzionali? e sono legittime le sanzioni fin qui elevate?
Secondo quanto deciso da un giudice di Frosinone la risposta è positiva. Questi aveva annullato due sanzioni comminate ad un padre ed una figlia che erano stati trovati fuori dalla loro abitazione durante il lockdown, motivando la sua sentenza con il fatto che lo stato di emergenza per rischio sanitario proclamato dal Governo era da considerarsi illegittimo e anticostituzionale.
Questa sentenza contraddice completamente l’impostazione data da altro giudice di Busto Arsizio il quale, in una recente sentenza, viceversa, ha legittimato l’azione del governo chiarendo che i Dpcm trovano legittimazione in un Decreto Legge avente avuto regolare iter parlamentare. Quindi il decreto legge del 25 marzo numero 19 e il passaggio parlamentare renderebbe costituzionalmente legittimo il ricorso ai DPCM e le sanzioni comminate in base ad esse.
Ma la decisione del magistrato non sembra essere convincente per una serie di motivi che andremo ad illustrare.
Nella nuova “normalità” che ci vogliono imporre, la nostra vita viene regolata dai dpcm del premier Conte che, con cadenze strettissime, impongono nuove limitazioni a diritti sanciti in Costituzione, beninteso “sempre nel nostro interesse e a tutela della salute collettiva”.
Affrontiamo subito la vexata questio: sono costituzionali questi dpcm ?
Il problema dal mio punto di vista deve essere analizzato sotto vari aspetti.
Da quando è stata dichiarata l’emergenza sanitaria, molti hanno soffermato l’attenzione su questi atti amministrativi.
Ma il primo problema che si dovrebbe sollevare non è sui dpcm, ma è sul decreto legge o meglio sui decreti legge, quindi sulle fonti primarie su cui questi dpcm si basano, cioè su tutti i decreti legge a partire, n°19 del 2020, fino ad arrivare all’ultimo che ha prorogato lo stato di emergenza fino al 30 aprile 2021, Decreto Legge n° 2 del 13 gennaio 2021.
Pertanto, il giudice di Busto Arsizio non ha rilevato che il vulnus primario risiedeva già nei decreti legge.
In altre parole, un decreto legge dovrebbe contenere delle misure immediatamente applicabili, perché il suo scopo nasce per fronteggiare una situazione di urgente necessità, che preclude il ricorso alla via della legislazione ordinaria, secondo quanto sancito dalla lettera costituzionale che riporto qui sotto.
Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.
Quindi un decreto legge per sua natura non può avere una efficacia differita. Sarebbe una contraddizione in quanto vengono meno i presupposti su cui si fonda.
Pertanto i dpcm, che sono atti amministrativi, hanno una loro giustificazione legale nei decreti legge. Il problema, di conseguenza, è proprio nel riconoscimento legale di questi ultimi.
Uno dei problemi che si rinviene in questi decreti è l’attribuzione di un potere discrezionale al Presidente del Consiglio dei Ministri.
Oltretutto questi atti amministrativi non sono sottoposti ad alcun controllo preventivo di legittimità.
Questo in pratica significa che vengono adottati dal Presidente del Consiglio, vengono pubblicati nella gazzetta ufficiale ed entrano in vigore nello stesso giorno o il giorno successivo senza alcun controllo sulla loro legittimità costituzionale, comprimendo, limitando e addirittura, a volte annullando, in questo modo, i diritti costituzionali. Ci chiediamo in questo modus operandi quanto sia stata rispettata la democrazia e la Costituzione!
In occasione della Conversione del decreto legge 19 del 2020 è stato previsto che il Presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato, ha l’obbligo di comunicare ai due rami del Parlamento il contenuto dei dpcm, al fine di dare a questo la possibilità di esprimersi con delle risoluzioni, che, ricordiamo, sono atti di indirizzo politico giuridicamente vincolanti.
In pratica il Parlamento potrebbe anche esprimere un indirizzo contrario, ma il Presidente del Consiglio dei Ministri non sarebbe obbligato a modificare il contenuto del dpcm. Ovviamente, in questo modo, si porrebbe un problema di responsabilità politica.
Un’altra questione riguarda il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica. Questi decreti legge sono adottati dal governo ma, in base all’articolo 87 della Costituzione, sono emanati dal Presidente della Repubblica, il quale come cita l’articolo: “Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.”.
Vuol dire che in occasione della emanazione del decreto, il Presidente della Repubblica, in base ad una giurisprudenza costituzionale costante, deve esercitare un controllo sul contenuto dello stesso. Infatti, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 406 del 1989, “Fra tali controlli va tuttavia annoverato anche quello spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione degli atti del Governo aventi valore di legge ai sensi dell’art. 87, quinto comma, della Costituzione, che è ritenuto di intensità almeno pari a quello spettante allo stesso Presidente sulle leggi ai sensi dell’art. 87, terzo comma, della Costituzione.”
Ancora, con giurisprudenza costante, la stessa Corte prevede che il decreto legge deve avere delle “misure chiare, omogenee e immediatamente applicabili.”
Tutto ciò è stato ignorato dal giudice di Busto Arsizio.
Il Presidente della Repubblica, oltretutto, non ha ritenuto di dover esercitare il suo potere di rinvio alle Camere nonostante gli fosse stato sottoposto un decreto ad efficacia differita.
Certamente dobbiamo dire che lo stesso dpcm, nonostante il diniego del Presidente della Repubblica, potrebbe essere riproposto al voto del Parlamento. A questo punto, con ulteriore approvazione, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto ad emanarlo.
Chiaramente un tale comportamento del Presidente della Repubblica esprimerebbe un importante segnale politico e di rispetto della Costituzione.
Questo utilizzo “disinvolto” dei decreti legge e della estensione del periodo di emergenza ad libidum potrebbe portare a delle derive di tipo autoritario.
Il rischio è che, in nome della tutela della salute, i cittadini siano obbligati ad accettare limitazioni e compressioni dei loro diritti fondamentali facendo di fatto morire le democrazie contemporanee, i loro Parlamenti e le loro Costituzioni.
A questo ragionamento si potrebbe porre la seguente obiezione: alle Camere resta la possibilità di non convertire un decreto legge. In questo caso il Governo potrebbe, ancora, porre la questione di fiducia, certamente con il rischio di non vederla accettata e con la conseguente apertura di una crisi di governo.
Inoltre, in occasione della conversione di un Decreto Legge, il Parlamento vota su di un testo già confezionato in cui le possibilità di modifica sono sostanzialmente limitate, facendo venire meno tutta la dialettica parlamentare.
In conclusione un Parlamento che converte un decreto legge che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri un potere così ampio, senza porre alcun controllo preventivo di legittimità, è un Parlamento che abdica alla sua funzione tanto da apparire come un passacarte del Governo.
Tra l’altro assistiamo ad un proliferare di Commissioni Tecniche, che emanano atti di dubbia efficacia, visto che dopo svariati mesi siamo ancora in piena “dichiarata emergenza”, senza dimenticare che sull’operato di queste Commissioni vige perlopiù un principio di non trasparenza.
Nonostante di fronte a questo iter giuridico l’unica via di difesa sembrerebbe essere il ricorso all’autorità giudiziaria, abbiamo visto come ciò non è, di fatto, risolutorio.
Nel contesto dei ricorsi sopra riportati, i giudicanti avrebbero potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale proprio sui decreti legge di cui si sono avvalsi per il giudizio.