Le problematiche geopolitiche possono creare effetti imprevedibili e indesiderati. L’invasione russa dell’Ucraina e la risposta dell’Occidente forniscono un’idea di quanti danni possa provocare questa combinazione.
Il prezzo del petrolio prima dell’invasione era scambiato poco sopra i 90 $ al barile. L’offerta, che era stata ridotta durante la pandemia, stava ripartendo lentamente rispondendo al rimbalzo della domanda conseguente alla fine dei lockdown.
Ma con l’inizio delle ostilità e le successive sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia (con l’eccezione delle sue esportazioni di petrolio e gas a causa della dipendenza dell’Europa da loro) abbiamo visto il prezzo salire a quasi $US 140 al barile, prima di scendere al suo livello attuale di circa $US 115 al barile. Un aspetto molto rilevante è stata l’eccezionale volatilità, con movimenti intraday fino al cinque per cento.
Questa entità dei movimenti dei prezzi ha causato una forte pressione finanziaria per i traders di petrolio e i loro finanziatori. Questo, a sua volta, ha impattato sull’offerta fisica di petrolio.
Nonostante le sanzioni non si applichino, attualmente, alle esportazioni di petrolio e gas della Russia, gli acquirenti e i traders si sono “auto-sanzionati”, sia a causa del timore di danni alla reputazione per essere considerati filo russi – il tipo di danno subito da Shell quando ha acquistato un carico a basso costo di petrolio russo – oppure nel timore di essere inavvertitamente coinvolti nella rete di sanzioni finanziarie.
A questo si aggiunge l’incertezza nel divenire della crisi. Ogni notizia proveniente dall’Ucraina, oppure ogni volta che viene promossa un’estensione delle sanzioni, oppure ogni volta che ci sono negoziati tra Ucraina e Russia si generano volatilità e rischio. Un carico di petrolio potrebbe avere un valore quando lascia un porto e uno molto diverso una volta giunto a destinazione.
Tutto questo ha stressato i mercati delle materie prime in generale e il mercato petrolifero in particolare.
I traders stanno esperendo una crisi di liquidità a causa delle aumentate richieste di margine, sia nel mercato fisico del petrolio che nei mercati dei derivati. Gli stessi hanno usato i prestiti bancari per finanziare i carichi di petrolio e altre materie prime che spediscono in tutto il mondo. E poiché i prezzi delle materie prime sono aumentati dopo l’invasione, il requisito di finanziamento per ogni spedizione è aumentato bruscamente. Di conseguenza anche i costi di copertura del valore dei carichi contro il rischio nei mercati finanziari sono aumentati drasticamente.
La posizione dei traders e dei produttori di petrolio, peraltro, non è aiutata dal fatto che il mercato dei futures per il petrolio è in “backwardation“, cioè il prezzo atteso del petrolio in futuro è inferiore al prezzo attuale.
Con gli USA che, da un lato cercano di fare un accordo con l’Iran e il Venezuela per aumentare la loro produzione in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, e dall’altro fanno pressione sull’Arabia Saudita per attingere alla sua capacità produttiva, ostinatamente non utilizzata in pieno (ricordiamo che esiste un accordo OPEC per limitare la crescita della sua offerta), è possibile un aumento dell’offerta, anche se improbabile nel breve termine.
Gli europei stanno attualmente discutendo se includere l’energia russa nelle loro sanzioni (gli Stati Uniti e il Canada hanno già smesso di acquistare petrolio russo), anche se Germania e Ungheria sono apparentemente contrarie. Ricordiamo che la Russia fornisce la maggior parte del petrolio e del gas della Germania. Ricordiamo che le sanzioni richiedono l’approvazione di tutti i 27 membri dell’Unione e se ciò dovesse accadere si potrebbe innescare una forte salita del prezzo del petrolio che potrebbe scatenare una recessione profonda e prolungata all’economia globale.
Uno stop alle forniture russe di petrolio, gas e carbone spingerebbe la zona UE in un doloroso periodo di crisi economica per le difficoltà energetiche, che finiranno per scaricarsi sulla cittadinanza, già martoriata da due anni di folli interventi imposti con la pretesa di arginare l’epidemia COVID-19.
Stati Uniti, Canada e Regno Unito hanno annunciato embarghi o misure di eliminazione graduale dei prodotti energetici provenienti dalla Russia. Ma ricordiamo che questi Paesi hanno nei loro territori cospicue produzioni petrolifere.
L’Unione Europea invece si è mostrata titubante lanciando una nuova strategia energetica, REPowerEU.
La strategia mira a ridurre di quasi due terzi le importazioni di gas dell’UE dalla Russia entro la fine del 2022 e a rendere l’Europa indipendente da tutti i combustibili fossili russi entro il 2030.
Ammesso che la UE, nel suo insieme, possa affrontare il prossimo inverno senza gas russo, potremmo sostenere anche un’interruzione delle forniture di petrolio e carbone?
Alcuni operatori del mercato hanno già iniziato a limitare i loro acquisti di carbone e petrolio dalla Russia, altri hanno smesso di acquistare petrolio russo, mentre altri ancora acquistano solo con uno sconto sostanziale. L’Agenzia internazionale per l’energia suggerisce che 3 milioni di barili al giorno (mb / d) di petrolio greggio e prodotti petroliferi russi potrebbero non trovare allocazione nei mercati a partire da aprile 2022, a causa delle sanzioni.
Petrolio
La Russia è il più grande esportatore di petrolio al mondo, con circa l’8% dell’offerta mondiale, e l’UE il secondo importatore mondiale e il più grande acquirente di petrolio russo. Oltre il 70% delle esportazioni di prodotti petroliferi russi è andato ai mercati europei e statunitensi.
Secondo il Servizio Federale delle Dogane della Russia, nel 2021, quando i prezzi del petrolio erano in media $ 71 barile, le esportazioni di petrolio greggio e i prodotti petroliferi hanno rappresentato il 37% delle entrate russe da esportazioni, nel febbraio 2022, il prezzo del petrolio russo era in media di $ 92 barile. Possiamo immaginare l’effetto di questo dato sulle entrate russe!
Storicamente, l’infrastruttura petrolifera russa è stata costruita per servire i mercati europei, in particolare attraverso l’oleodotto Druzhba, che alimenta direttamente sei raffinerie nell’UE. Ma dal 2009 (quando è stata completata la prima fase dell’oleodotto ESPO-1), la Russia ha sviluppato rotte di esportazione verso i mercati asiatici e direttamente in Cina.
L’UE: il secondo importatore mondiale di petrolio
Nel 2020, secondo Eurostat, l’UE ha importato 9,3 mb / d di petrolio greggio e 5,6 mb / d di prodotti petroliferi raffinati. Circa 8 mb/g di prodotti importati o raffinati a livello nazionale vengono utilizzati per il trasporto (diesel, benzina, cherosene), circa 3,5 mb/d per il riscaldamento (gasolio, olio combustibile) e 2 mb/d come materia prima dell’industria chimica (nafta, GPL). Alcuni di questi combustibili vengono riesportati in mercati come gli Stati Uniti e la Svizzera.
Nel novembre 2021, la Russia rappresentava poco meno del 30% delle importazioni di petrolio greggio dell’UE e poco più del 15% dei prodotti petroliferi. In caso di interruzione delle forniture russe, l’UE sarebbe vulnerabile per carenza di diesel, nafta e olio combustibile.
Nel 2021, le importazioni totali di petrolio dell’UE ammontavano a 15 mb/g, di cui 3,5 mb/g provenivano dalla Russia, con un conseguente flusso di 88 miliardi di euro dall’UE e dal Regno Unito verso la Russia.
Approvvigionamento globale aggregato di petrolio
Se il commercio di petrolio UE-Russia si fermasse, circa 3 mb/g di offerta di greggio russo e circa 1 mb/g di prodotti petroliferi verrebbero messi offline, costituendo un grave shock dell’offerta globale, e non è chiaro se i fornitori sarebbero in grado o disposti a compensare il deficit, questo per motivi strutturali di domanda-offerta che analizzeremo in un successivo articolo.
Ricordiamo che i membri dell’OPEC hanno attualmente un accordo con la Russia, mentre i partner dell’Asia centrale, noti come OPEC +, hanno concordato di limitare la crescita dell’offerta a 0,4 mb / d al mese. Finché questi non aumenteranno la produzione, gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno affrontare delle serie difficoltà ad esercitare una pressione politica sulla Russia.
In ogni caso, i membri dell’OPEC sembrano lottare per raggiungere i propri obiettivi di produzione. A dicembre 2021, la produzione è aumentata di 0,25 mb/g rispetto all’obiettivo di 0,4 mb/g. La situazione è recentemente peggiorata con la perdita di capacità di 0,3 mb / g da parte della Libia.
La produzione statunitense è scesa di circa 3 mb / g all’inizio della pandemia e ha gradualmente recuperato circa la metà di questo valore.
Infine, i membri dell’OCSE detengono riserve strategiche di petrolio per 1,5 miliardi di barili. Questa offerta potrebbe compensare le esportazioni russe a rischio per circa un anno. Pertanto, un embargo immediato sul petrolio russo può essere parzialmente mitigato attingendo lentamente alle scorte strategiche. All’interno dell’UE, la direttiva sulle scorte petrolifere (2009/119/CE) impone ai Paesi di mantenere scorte di emergenza di petrolio greggio e/o prodotti petroliferi pari ad almeno 90 giorni di importazioni nette o 61 giorni di consumo, a seconda di quale sia il più alto.
L’Europa può sostituire le importazioni di petrolio dalla Russia?
Il fatto che gran parte delle importazioni di petrolio greggio in Europa avvenga via nave piuttosto che tramite oleodotto significa che, in linea di principio, sostituire il petrolio russo sarà più facile che sostituire il gas russo. Tuttavia, dovrebbero essere considerati alcuni problemi fondamentali.
Prima di tutto le infrastrutture petrolifere intraeuropee: se le forniture di petrolio russo si fermano, sarà difficile reindirizzare il petrolio greggio e i prodotti petroliferi all’interno dell’UE. L’infrastruttura è progettata per flussi da est a ovest e lo spostamento di petrolio greggio e prodotti verso est potrebbe comportare movimenti anomali di greggio, anche se tramite ferrovia, camion e chiatta fluviale.
Poi abbiamo il problema delle raffinerie, alcune di queste sono ottimizzate per utilizzare petrolio russo e saranno meno efficienti se lavoreranno con una diversa qualità di greggio. Il greggio iracheno e iraniano si avvicina di più al greggio russo. Particolarmente vulnerabili sono sei grandi raffinerie lungo il gasdotto Druzhba (in Polonia, Germania, Cechia, Austria, Ungheria e Slovacchia). Nel 2019, queste raffinerie sono state sottoposte a uno stress test in quanto i flussi sono stati interrotti a causa della contaminazione del petrolio. Hanno superato il test utilizzando riserve strategiche di greggio immagazzinato in loco. Ma queste interruzioni sono durate solo due mesi. Se non è possibile alimentare queste raffinerie, la riduzione dovrà essere assorbita in raffinerie alternative, per soddisfare la domanda del prodotto finale. Mentre le raffinerie portuali sono ancora vulnerabili a un calo da parte di un fornitore così grande, in genere sono in una posizione migliore per accettare consegne da nuovi fornitori.
Ancora, sostituzione dei prodotti raffinati russi. Oltre all’approvvigionamento di petrolio greggio, l’UE deve anche prendere in considerazione la sostituzione dei prodotti raffinati, quali diesel, nafta e olio combustibile. Le raffinerie europee potrebbero cercare di compensare questo problema aumentando la loro produttività. Per sostituire la perdita di approvvigionamento di diesel russo, ad esempio, le raffinerie europee dovrebbero aumentare l’impegno degli impianti di circa 10 punti percentuali, portandolo a quasi al 90% della capacità totale, pari a 15-16 mb / g. Sarebbe il più alto tasso di utilizzo di questo secolo.
Riduzione della domanda di petrolio
Poiché sarà difficile per l’Europa sostituire completamente, e in modo tempestivo, il petrolio greggio e i prodotti petroliferi russi, i governi dovranno incoraggiare la riduzione della domanda, e mi chiedo se questo non sia voluto da tempo. Viene subito in mente tutta la narrazione sul Great Reset e i paventati disastri ambientali incombenti, ma anche di questo ne parleremo in un altro articolo.
La UE potrebbe attuare rapidamente piani coordinati per ridurre la domanda, ad esempio aumentando il costo dell’energia per i cittadini (tanto paghiamo sempre noi cittadini) oppure attuando dei razionamenti (tanto al buio ci restiamo noi cittadini). Ancora una volta, come non pensare ad una strategia di attuazione del Great Reset?
Alcune misure sono già state suggerite per limitare la domanda di petrolio, soprattutto nel settore dei trasporti. Le misure che dovrebbero essere prese in considerazione includono l’incoraggiamento al trasporto pubblico, attraverso, ad esempio, il servizio gratuito nei fine settimana. Peccato che la popolazione sia sottoposta a ricatto del famigerato “Green Pass” per poter usufruire dei mezzi pubblici!
Inoltre si vorrebbero promuovere campagne per incoraggiare il car sharing. Come si suggerisce dalle parti di Davos? “Non avrai più nulla e sarai felice”.
Nel caso in cui le misure falliscano, potrebbero essere necessarie soluzioni più severe, come restrizioni sull’acquisto di carburanti. In fondo il “Green Pass” potrebbe servire anche a questo, altrimenti perché chiamarlo Green?
Carbone
A livello globale, i principali esportatori di carbone sono Indonesia, Australia, Russia, Colombia, Sud Africa e Stati Uniti. Dal lato della domanda, la Cina è di gran lunga il principale importatore, seguita da India, Giappone, Europa e altri paesi dell’area Asia-Pacifico.
Con i prezzi del gas in una spirale inflazionistica, anche il prezzo del carbone è aumentato, quadruplicando in un anno. Il carbone e il gas sono concorrenti nel mercato dell’elettricità in quanto entrambi colmano quello che è noto come il “divario termico”.
Il mercato dell’UE
L’UE ha gradualmente ridotto il consumo di combustibili fossili solidi, passando da 1.200 a 427 milioni di tonnellate (MT) nell’arco di tre decenni (1990-2020). Il processo di riduzione, però, ha riguardato principalmente la quota di produzione interna, di conseguenza, le importazioni sono diventate più significative passando dal 30% a oltre il 60% del consumo interno, sollevando interrogativi sulla disponibilità di carbon fossile per l’UE in caso di embargo energetico sulla Russia.
La Russia ha svolto un ruolo importante nel colmare il divario tra il consumo di carbon fossile dell’UE e la sua produzione interna, con le con le esportazioni verso la Ue che sono passate da 8 milioni di tonnellate (7% delle importazioni totali dell’UE) nel 1990 a 43 milioni tonnellate (54%) nel 2020.
È importante distinguere tra carbone termico, noto anche come “carbone a vapore”, che viene utilizzato per generare elettricità, e carbone metallurgico utilizzato nella produzione di ferro e acciaio. Il carbone metallurgico russo rappresenta tra il 20 e il 30 per cento delle importazioni di carbone dell’UE, mentre quello di carbone termico è quasi del 70 per cento. La Germania e la Polonia dipendono in particolar modo dal carbone termico proveniente dalla Russia.
Fa quasi sorridere, se non fosse tragico, vedere i “lungimiranti” politici “NON ELETTI della UE” affannarsi per sostituire il gas con il carbone, dopo che per decenni ci hanno infranto le gonadi con i lagnosi piagnistei dei Gretini made in UE sui pestiferi effetti del carbone sul riscaldamento terrestre.
Diversificare e aumentare l’offerta di carbone dell’UE
Sebbene le importazioni russe costituiscano una quota significativa del carbone termico consumato nell’UE, ci sono segnali da parte dell’industria che tali importazioni potrebbero essere sostituite in tempi relativamente brevi. Bisognerà vedere però a che prezzo e a quali condizioni geopolitiche. Come sempre questo appare come una presa di posizione che tende a favorire alcuni produttori a scapito di altri. Bisognerebbe indagare sulla commistione tra esponenti dei vari governi e multinazionali dell’energia.
Dal punto di vista politico, si dovranno implementare forti campagne di propaganda per far digerire ai cittadini i maggiori oneri imposti dal nuovo assetto di forniture energetiche.
Inoltre, per consentire l’uso di tipi di carbone alternativamente disponibili, si dovrebbe valutare la possibilità di allentare alcune norme ambientali, un pò come accade per le regole di bilancio in area UE, che vengono “aggiustate” in base a convenienze politiche di Germania e Francia,
Ad esempio per il 2022 la US Energy Information Administration (EIA) ha previsto che la produzione di carbone degli Stati Uniti aumenterà di oltre il 4%, mentre il consumo interno è destinato a diminuire. L’EIA si aspetta che ciò sostenga le esportazioni, contribuendo al contempo a ricostituire le scorte di carbone nelle centrali elettriche.
Quindi questa rimodulazione dell’approvvigionamento di carbone porterà ad una minore offerta e ad una logistica più complessa. Aumenterà il costo delle importazioni di carbone e ciò potrebbe comportare delle temporanee interruzioni locali.
Tutto in linea con le direttive che piovono da Davos? Non sappiamo la risposta … ma la domanda sorge spontanea…
Antonio Lubrano giornalista
Conclusioni
Fermare le importazioni di gas russo sarà difficile e costoso per i cittadini, ma ancora peggio sarà per l’UE gestire una completa interruzione delle importazioni russe di petrolio e carbone. Un arresto europeo delle forniture russe di petrolio e carbone avrà un impatto doloroso con prezzi più alti, che cadranno soprattutto sulle piccole imprese italiane che rischieranno, così, di essere spazzate via dal mercato. Ma ancora una volta, visto che Mario Draghi auspica una “distruzione creativa” dell’economia con l’eliminazione delle piccole imprese a favore delle corporation, tutto questo potrebbe essere un effetto voluto?
CUI PRODEST?
Alcuni analisti auspicano un “Patto energetico transatlantico” tra l’Europa e gli Stati Uniti i per far fronte alle perdite delle importazioni russe. Ma, in ogni caso, uno stop alle importazioni di petrolio dalla Russia implicherà un aumento dei prezzi del petrolio per i cittadini dell’Europa. Teniamolo bene a mente!
Per quanto riguarda il carbone, il trasferimento dell’approvvigionamento delle forniture europee dalla Russia verso altri Paesi, porterà a prezzi globali del carbone più elevati, ancora una volta con significativi effetti sulle economie. Anche le questioni logistiche devono essere risolte. E’ di fondamentale importanza che l’Europa acquisti rapidamente più carbone e ricostituisca le sue scorte, in particolare, a causa del suo potenziale aumento di consumo nelle centrali elettriche.
Mentre l’Europa attraverserà un doloroso periodo, qualcuno si arricchirà a sue spese e se anche il clima ne verrà danneggiato vorrà dire che le “Grete” dovranno farsene una ragione. Affari e geopolitica hanno sempre la priorità!
Ma tutto questo è veramente voluto dai cittadini europei?
La IEA (International Energy Agency) ha tagliato le previsioni sulla domanda di petrolio per il 2020, avvertendo che la riduzione dei viaggi aerei dovuta alla pandemia di coronavirus, quest’anno, avrebbe fatto diminuire la domanda globale di petrolio di 8,1 milioni di bbl/d.
“La domanda di carburante per jet rimane la principale fonte di debolezza”, ha detto la IEA nel suo rapporto mensile.
“In aprile il numero di chilometri percorsi dall’aviazione è sceso di quasi l’80% rispetto all’anno scorso e a luglio il deficit era ancora del 67% … I settori dell’aviazione e del trasporto stradale, entrambi componenti essenziali del consumo di petrolio, continuano ad avere problemi”.
I danni alla domanda causati dai minori spostamenti transfrontalieri sono stati in qualche modo mitigati dalla ripresa dell’industria e dell’e-commerce che sostiene gli autotrasporti, ma la IEA prevede che il consumo di petrolio nel 2021 sarà ancora leggermente inferiore a quello del 2019.
I dati citati dalla IEA indicano che la mobilità in molte regioni ha raggiunto uno stato stazionario, ma è in aumento in Europa, anche se un aumento dei casi COVID-19 ha portato l’agenzia a ridurre le stime della domanda di benzina.
L’agenzia ha affermato che mentre l’offerta ha superato la domanda a giugno, l’incertezza sulla domanda futura, insieme all’aumento della produzione da parte dei principali produttori, è un segnale che il riequilibrio dei mercati petroliferi sarà “fragile”.
Mentre negli Stati Uniti, in Canada e in Brasile la produzione di petrolio si stava riprendendo mentre i produttori dell’OPEC e gli alleati come la Russia, un gruppo chiamato OPEC+, stavano allentando i tagli alla produzione.
Alla luce di queste dichiarazioni della IEA gli investitori interessati ad operare nel settore energetico devono continuare ad osservare la massima prudenza.
Un ulteriore aumento dei casi COVID-19 potrebbe ridurre fortemente la domanda di energia.