Le Valute Digitali delle Banche Centrali: Un Lupo in Veste di Agnello?

Scopri i rischi nascosti dietro le CBDC che minacciano la tua privacy, libertà e autonomia finanziaria

Introduzione:

L’emergere delle valute digitali delle banche centrali (CBDC) sta attirando sempre più attenzione a livello globale. Mentre i governi e le banche centrali ne enfatizzano i potenziali benefici, è cruciale esaminare attentamente anche i rischi e le insidie che si celano dietro la loro implementazione. Questo articolo esplorerà sia i vantaggi pubblicizzati delle CBDC che le preoccupazioni riguardanti privacy, libertà finanziaria e possibili abusi di potere.

I vantaggi pubblicizzati delle CBDC:

Le banche centrali promuovono le CBDC come un passo avanti nell’era digitale, evidenziando vantaggi come maggiore efficienza, costi di transazione ridotti e più ampia inclusione finanziaria [1]. Sostengono che le CBDC offriranno un’alternativa pubblica sicura ai mezzi di pagamento digitali privati, come le criptovalute e le stablecoin, e miglioreranno l’accesso ai servizi finanziari per le comunità svantaggiate e non bancabili [2]. Inoltre, affermano che le CBDC consentiranno una politica monetaria più efficace, con strumenti come tassi di interesse negativi per stimolare la spesa in tempi di recessione e pagamenti diretti ai cittadini per fornire un sostegno economico più mirato [3].

Rischi per la privacy:

Tuttavia, le CBDC presentano seri rischi per la privacy finanziaria dei cittadini. A differenza del contante, che consente transazioni anonime, ogni transazione con CBDC sarebbe completamente tracciabile, permettendo una sorveglianza senza precedenti delle abitudini di spesa individuali da parte delle banche centrali e potenzialmente di altre entità governative [4]. Questo livello di monitoraggio solleva interrogativi sui diritti alla riservatezza e sulla protezione dei dati personali, e potrebbe portare ad abusi se le informazioni sensibili finissero nelle mani sbagliate o venissero utilizzate per scopi non previsti [5].

Rischi per la libertà finanziaria:

L’introduzione delle CBDC potrebbe anche minacciare la libertà finanziaria dei cittadini. In un sistema basato su CBDC, le banche centrali e le autorità governative avrebbero il potere di congelare, sequestrare o confiscare i fondi dei cittadini con un semplice clic, senza la necessità di un adeguato processo legale o della supervisione giudiziaria [6]. Questo potere smisurato potrebbe essere facilmente abusato per penalizzare i dissidenti, imporre un controllo sociale o esercitare pressioni politiche, come già avvenuto in Canada durante le proteste dei camionisti nel 2022, quando il governo ha congelato i conti bancari di coloro che erano coinvolti nelle manifestazioni o che vi avevano contribuito finanziariamente, senza un giusto processo [7].

Rischi delle valute programmabili:

Un aspetto particolarmente preoccupante delle CBDC è il loro potenziale di essere “programmabili”, consentendo alle banche centrali e alle autorità di imporre restrizioni e condizioni su come, dove e quando i fondi possono essere spesi. Scenari distopici includono l’uso di un “credito sociale di carbonio” per determinare l’ammissibilità all’acquisto di determinati beni o servizi basati sull’impronta di carbonio individuale, o l’imposizione di date di scadenza sulla valuta per forzare la spesa e scoraggiare il risparmio [8]. Queste possibilità rappresentano una grave minaccia al diritto fondamentale degli individui di utilizzare i propri soldi liberamente e senza indebite interferenze.

Diverse banche e società di carte di credito, tra cui Mastercard, Visa e American Express, stanno già sperimentando il monitoraggio dell’impronta di carbonio delle transazioni dei clienti [29]. Ad esempio, la carta di credito “DO Black” di Doconomy mostra l’impatto climatico di ogni acquisto e impone un limite di spesa basato sulla carbon footprint personale dell’utente [30]. Sebbene queste iniziative siano attualmente volontarie, stabiliscono un pericoloso precedente per un futuro in cui i consumi individuali potrebbero essere limitati o penalizzati se si eccedono determinate soglie di emissioni.

Questo approccio graduale ricorda la metafora della “rana bollita”, in cui un cambiamento lento e incrementale può passare inosservato fino a quando non è troppo tardi. Introducendo il tracciamento della CO2 come una funzionalità apparentemente innocua o addirittura vantaggiosa, le banche e le società di carte di credito stanno normalizzando l’idea di sorveglianza e controllo finanziario in nome della sostenibilità. Una volta che questo concetto sarà ampiamente accettato, potrebbe essere utilizzato per giustificare misure più invasive, come tasse punitive o restrizioni agli acquisti per coloro che superano le quote di carbonio assegnate.

Rischi per il sistema finanziario:

L’introduzione su larga scala delle CBDC potrebbe anche avere conseguenze destabilizzanti per il sistema bancario tradizionale e l’economia nel suo complesso. Se una quota significativa dei depositi bancari venisse convertita in CBDC, le banche commerciali potrebbero affrontare una grave carenza di liquidità, riducendo la loro capacità di fornire prestiti a individui e imprese [9]. Questo potrebbe portare a una contrazione del credito, frenando gli investimenti, la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, in tempi di crisi finanziaria, potrebbe verificarsi una corsa alle CBDC, simile a una corsa agli sportelli bancari, mettendo ulteriormente sotto pressione le banche e potenzialmente innescando fallimenti a catena [10].

Rischi di abusi sotto la giustificazione di emergenze:

La storia ha dimostrato che le crisi e le emergenze, reali o presunte, possono essere sfruttate dai governi per espandere il controllo statale, erodere le libertà civili e normalizzare misure di sorveglianza invasive. L’implementazione del Green Pass in Italia durante la pandemia di COVID-19 ne è un esempio lampante, creando effettivamente una società a due livelli in cui l’accesso ai diritti fondamentali era condizionato alla conformità con i mandati statali [11]. Con le CBDC, questo tipo di abusi potrebbe diventare ancora più pervasivo ed efficace, consentendo alle autorità di congelare i conti, limitare le transazioni o imporre condizioni di spesa per coloro che non si adeguano alle direttive ufficiali, tutto nel nome della gestione dell’emergenza.

Il ruolo preoccupante del World Economic Forum e le sue connessioni:

Il World Economic Forum (WEF), con sede a Ginevra, in Svizzera, è un’organizzazione internazionale che riunisce leader politici, dirigenti aziendali, accademici e altri esponenti influenti della società per plasmare le agende globali, regionali e industriali [43]. Mentre il WEF si presenta come un’organizzazione imparziale dedita a migliorare lo stato del mondo, il suo ruolo nella promozione delle CBDC e delle valute programmabili solleva interrogativi sulle sue vere motivazioni e affiliazioni.

Il WEF è strettamente connesso alla Bank for International Settlements (BIS), che svolge un ruolo centrale nel coordinare la ricerca e lo sviluppo delle CBDC tra le banche centrali [40]. Diversi alti funzionari della BIS, tra cui il General Manager Agustín Carstens, sono frequenti partecipanti alle riunioni del WEF e contribuiscono attivamente alla sua agenda [44].

Il WEF è anche strettamente allineato con il Fondo Monetario Internazionale (FMI), un’altra potente istituzione finanziaria globale. L’FMI ha espresso un forte sostegno per le CBDC, sottolineando il loro potenziale per migliorare l’inclusione finanziaria e l’efficacia della politica monetaria [45]. Il Managing Director dell’FMI, Kristalina Georgieva, è un’habituée delle riunioni del WEF e ha ripetutamente invocato una “nuova Bretton Woods”, suggerendo una riconfigurazione del sistema finanziario globale in linea con l’agenda della “Grande Reset” del WEF [46].

Oltre a queste connessioni finanziarie, il WEF ha stretti legami con le Nazioni Unite e le sue varie agenzie. Nel 2019, il WEF ha firmato un memorandum d’intesa con le Nazioni Unite per accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile [47]. Questo allineamento solleva preoccupazioni sul potenziale uso delle CBDC e delle valute programmabili come strumenti per avanzare piani precostituiti sotto la supervisione di élite globali tecnocratiche.

Ancora più preoccupante è il legame del WEF con il controverso progetto ID2020, un’iniziativa sostenuta da organizzazioni come Microsoft, la Rockefeller Foundation e Gavi, the Vaccine Alliance, che mira a stabilire un sistema di identità digitale globale [48]. L’ID2020 è stata criticata da molti come un potenziale strumento di sorveglianza e controllo di massa, e la sua connessione con l’agenda delle CBDC del WEF solleva allarmanti prospettive di un futuro in cui la libertà finanziaria e l’autonomia personale potrebbero essere gravemente compromesse.

È importante notare che il fondatore e presidente esecutivo del WEF, Klaus Schwab, è una figura centrale in questo intreccio di connessioni. Schwab, attraverso libri come “The Fourth Industrial Revolution” e “COVID-19: The Great Reset”, ha delineato una visione di un futuro globale radicalmente trasformato in cui le tecnologie come l’intelligenza artificiale, la biotecnologia e le valute digitali rimodellano ogni aspetto della società [49] [13]. Mentre Schwab presenta questa visione come inevitabile e vantaggiosa, altri la vedono come una ricetta per un incubo tecnocratico in cui ogni dimensione della vita umana è monitorata, controllata e pianificata da élite senza volto.

Alla luce di queste vaste e preoccupanti interconnessioni, è essenziale che il ruolo del WEF nella promozione delle CBDC e delle valute programmabili sia sottoposto a un attento esame e a un controllo democratico. I cittadini devono essere consapevoli delle potenti forze che plasmano il futuro del denaro e devono essere attivamente coinvolti nel determinare se queste tecnologie serviranno il bene pubblico o gli interessi di pochi privilegiati.

Solo attraverso la trasparenza, la responsabilità e un impegno incrollabile per la sovranità individuale e democratica possiamo sperare di navigare in queste acque inesplorate e di emergere con le nostre libertà e i nostri valori intatti. Il futuro del denaro è il futuro della società stessa, e la posta in gioco non potrebbe essere più alta.

Il progetto ID2020 e le sue connessioni:

ID2020 è un’iniziativa di partnership pubblico-privato lanciata nel 2016 con l’obiettivo dichiarato di fornire un’identità digitale a tutti coloro che ne sono privi, in particolare nei paesi in via di sviluppo [48]. L’alleanza comprende una vasta gamma di partner, tra cui multinazionali tecnologiche come Microsoft e Accenture, organizzazioni filantropiche come la Rockefeller Foundation e la Bill and Melinda Gates Foundation, agenzie delle Nazioni Unite come l’UNHCR e l’WHO, e Gavi, the Vaccine Alliance, una partnership globale per la salute [50].

Mentre ID2020 presenta la sua missione come umanitaria e orientata allo sviluppo, molti critici hanno espresso preoccupazioni sul suo potenziale di abuso e sulle sue implicazioni per la privacy e l’autonomia individuale. Una delle principali critiche riguarda l’uso della tecnologia blockchain per creare un sistema di identità digitale “fondato sulle vaccinazioni” [51]. In un white paper del 2018, ID2020 ha proposto di collegare le identità digitali ai record di immunizzazione, suggerendo che le vaccinazioni potrebbero servire come punto di ingresso per la registrazione digitale nei paesi in via di sviluppo [52].

Questa idea ha suscitato accuse di “colonialismo digitale” e timori che l’accesso ai servizi essenziali possa essere condizionato alla conformità con i programmi di vaccinazione e altre misure di salute pubblica [53]. In un contesto in cui i passaporti vaccinali e i mandati sui vaccini sono diventati sempre più controversi e politicizzati, il coinvolgimento di ID2020 in questo ambito solleva interrogativi sulle sue vere motivazioni.

Ancora più allarmante è il potenziale di un sistema di identità digitale globale, come quello proposto da ID2020, di essere integrato con le CBDC e le valute programmabili per creare un apparato di sorveglianza e controllo finanziario senza precedenti. Se le identità digitali diventassero un prerequisito per l’accesso ai servizi finanziari e alle transazioni quotidiane, i governi e le istituzioni finanziarie avrebbero un potere smisurato di monitorare e dirigere i comportamenti individuali [54].

In uno scenario estremo, un sistema integrato di CBDC e identità digitali potrebbe consentire la discriminazione algoritmica su vasta scala, con l’accesso ai fondi condizionato all’aderenza a determinati criteri comportamentali o ideologici. Coloro che non si adeguano potrebbero affrontare l’esclusione finanziaria o addirittura la punizione, creando una società di “capitalismo di sorveglianza” in cui ogni azione è tracciata, valutata e potenzialmente censurata [55].

Queste prospettive distopiche non sono mere speculazioni. Nel 2019, ID2020 ha stretto una partnership con il governo del Bangladesh per implementare un sistema di identità digitale per i rifugiati Rohingya, sollevando preoccupazioni sul potenziale di profilazione etnica e sorveglianza invasiva [56]. Allo stesso modo, il programma Aadhaar dell’India, il più grande sistema di identità biometrica al mondo, è stato criticato per aver escluso milioni di persone dai servizi essenziali a causa di errori tecnici e barriere all’iscrizione [57].

Alla luce di questi sviluppi preoccupanti, è imperativo che l’agenda di ID2020 e le sue interconnessioni con l’ascesa delle CBDC e delle valute programmabili siano sottoposte a un attento esame pubblico e a un controllo democratico. I cittadini devono essere pienamente consapevoli delle forze che plasmano il futuro dell’identità e delle transazioni finanziarie e devono avere voce in capitolo nello stabilire i parametri etici e legali per l’uso di queste potenti tecnologie.

Solo attraverso la trasparenza, la responsabilità e un impegno risoluto per i diritti umani e la dignità individuale possiamo sperare di raccogliere i frutti dell’innovazione digitale senza sacrificare le nostre libertà più preziose. Il futuro dell’identità è il futuro del sé, e la posta in gioco non potrebbe essere più alta.

L’Euro Digitale: una CBDC per l’Eurozona

La Banca Centrale Europea (BCE) sta attivamente esplorando l’introduzione di un euro digitale, una CBDC per i 19 paesi dell’Eurozona. Secondo la BCE, un euro digitale fornirebbe ai cittadini un’alternativa elettronica sicura al contante, garantendo l’accessibilità della moneta della banca centrale nell’era digitale [32]. Tuttavia, molte delle preoccupazioni sollevate in questo articolo riguardo alle CBDC in generale – rischi per la privacy, la libertà finanziaria e il potenziale di abusi – si applicano ugualmente all’euro digitale.

Inoltre, l’introduzione di un euro digitale solleva interrogativi sulla sovranità monetaria nazionale e sulla legittimità democratica all’interno dell’Eurozona. Attualmente, mentre la BCE stabilisce la politica monetaria per l’Eurozona nel suo insieme, le banche centrali nazionali dei singoli stati membri mantengono un certo grado di autonomia nell’implementazione di questa politica e nella gestione delle loro economie locali. Tuttavia, una CBDC gestita centralmente dalla BCE potrebbe alterare questo equilibrio di potere.

Con un euro digitale, la BCE avrebbe un controllo molto più diretto sulla moneta in circolazione, potendo potenzialmente bypassare le banche centrali nazionali nell’allocazione dei fondi o nell’imposizione di condizioni sul loro uso. Questo accentramento del potere monetario potrebbe limitare la capacità dei singoli stati di rispondere alle esigenze specifiche delle loro economie e di perseguire politiche fiscali e di bilancio indipendenti. Inoltre, in tempi di crisi, la BCE potrebbe utilizzare l’euro digitale per imporre misure di austerità o altre condizioni agli stati membri in cambio di sostegno finanziario, erodendo ulteriormente la sovranità nazionale [33].

Questo solleva profonde preoccupazioni sulla legittimità democratica di un simile arrangiamento. La BCE è un’istituzione tecnocratica non eletta, il cui mandato primario è la stabilità dei prezzi, non la responsabilità democratica. Conferire alla BCE un potere così ampio sulla politica monetaria, senza un adeguato controllo democratico, potrebbe portare a decisioni che privilegiano le considerazioni finanziarie rispetto al benessere dei cittadini.

Come ha osservato l’ex primo ministro italiano Mario Monti, “i governi dovrebbero essere messi nelle condizioni di operare in modo sereno [dalle istituzioni sovranazionali], cioè non essere soggetti ogni giorno a interrogazioni del loro parlamento” [34]. Questa nozione di decisioni prese “al riparo” dal processo democratico è profondamente problematica e in contrasto con i principi fondamentali di responsabilità e sovranità popolare.

Mentre il progetto dell’euro digitale è ancora nelle sue fasi iniziali, è fondamentale che sia soggetto a un rigoroso controllo pubblico e a un dibattito democratico. I cittadini e i governi degli stati membri dell’Eurozona devono essere pienamente coinvolti nel processo decisionale e devono essere messe in atto solide salvaguardie per proteggere l’autonomia nazionale e garantire la responsabilità democratica. Senza queste garanzie, l’euro digitale rischia di diventare uno strumento di controllo centralizzato e di erosione della sovranità, piuttosto che un’innovazione al servizio del bene pubblico.

Lezioni dalla Nigeria:

L’esperienza della Nigeria con la sua CBDC, l’eNaira, offre un’importante lezione sui potenziali pericoli di un’adozione forzata e mal gestita. Nonostante le forti pressioni del governo, l’eNaira ha incontrato una forte resistenza da parte della popolazione, con meno dello 0,5% dei nigeriani che l’ha utilizzata nei primi mesi dopo il lancio [15]. Questa riluttanza deriva da una diffusa sfiducia nei confronti del governo e dal timore di una sorveglianza finanziaria invasiva. In risposta, le autorità hanno adottato misure coercitive, come l’imposizione di limiti ai prelievi di contanti e la tassazione delle transazioni tradizionali, nel tentativo di imporre l’uso dell’eNaira [16]. Questo approccio pesante evidenzia i rischi di un’implementazione delle CBDC guidata da interessi governativi piuttosto che dal consenso e dalla fiducia del pubblico.

Principali progetti CBDC a livello globale:

Oltre all’eNaira nigeriana, diverse altre importanti economie stanno attivamente sviluppando le proprie CBDC. La People’s Bank of China (PBOC) è stata una delle prime a sperimentare con la sua valuta digitale, nota come e-CNY o yuan digitale. I pilot del progetto sono in corso in diverse città cinesi, con l’obiettivo di un’eventuale implementazione su larga scala [35]. Analogamente, la Federal Reserve statunitense sta valutando i potenziali benefici e rischi di un dollaro digitale, anche se non ha ancora preso una decisione definitiva sulla sua emissione [36].

Nel frattempo, la Bank of England ha espresso interesse per una sterlina digitale, sottolineando i potenziali vantaggi in termini di inclusione finanziaria e innovazione dei pagamenti [37]. Altre banche centrali, come la Sveriges Riksbank svedese e la Bank of Canada, stanno conducendo le proprie ricerche e sperimentazioni sulle CBDC [38] [39].

Questa spinta apparentemente coordinata verso le valute digitali delle banche centrali solleva interrogativi sulle forze che guidano questo processo. Mentre ogni nazione ha le sue specifiche motivazioni ed esigenze, l’emergere di un modello così uniforme suggerisce l’influenza di attori e organizzazioni sovranazionali.

Necessità di un dibattito pubblico:

Data la portata e la complessità delle questioni in gioco, è assolutamente essenziale che l’adozione delle CBDC sia preceduta da un ampio, trasparente e inclusivo dibattito pubblico. I cittadini, in quanto principali stakeholder, devono avere voce in capitolo su una decisione che avrà un impatto così profondo sulle loro vite finanziarie, la loro privacy e le loro libertà fondamentali. Purtroppo, finora la discussione sulle CBDC è stata in gran parte confinata alle élite politiche, finanziarie e tecnologiche, con poca consapevolezza o coinvolgimento da parte del grande pubblico [17]. Questa situazione deve cambiare se vogliamo garantire che l’evoluzione del nostro sistema monetario rifletta genuinamente i valori, le esigenze e le aspirazioni democratiche della società nel suo insieme.

Conclusioni:

L’avvento delle valute digitali delle banche centrali rappresenta uno sviluppo potenzialmente rivoluzionario nel panorama finanziario globale. Mentre le CBDC promettono numerosi vantaggi, come una maggiore efficienza, un’inclusione finanziaria più ampia e strumenti di politica monetaria più efficaci, sollevano anche profonde preoccupazioni riguardo alla privacy, alla libertà finanziaria e al potenziale di abusi da parte delle autorità.

Il ruolo del World Economic Forum nel promuovere le CBDC e le valute programmabili, insieme alle sue strette connessioni con altre potenti organizzazioni globali, solleva ulteriori interrogativi sulle vere motivazioni dietro questa spinta. L’influenza pervasiva del WEF attraverso programmi come “Global Shapers” e “Young Global Leaders” suggerisce un tentativo di coltivare una classe dirigente globale allineata, sollevando dubbi sull’autonomia dei leader politici coinvolti.

L’agenda di ID2020 per un sistema di identità digitale globale, con le sue inquietanti implicazioni per la privacy e l’autonomia individuale, aggiunge un ulteriore livello di complessità e preoccupazione. La prospettiva di un apparato integrato di sorveglianza e controllo finanziario, reso possibile dalla combinazione di CBDC, valute programmabili e identità digitali, rappresenta una minaccia senza precedenti per le libertà fondamentali.

L’esperienza della Nigeria con l’eNaira e l’emergere di progetti CBDC in molte delle principali economie del mondo evidenziano l’urgente necessità di un dibattito pubblico approfondito e inclusivo su queste tecnologie e le loro implicazioni. I cittadini devono essere pienamente coinvolti nel processo decisionale e devono essere messe in atto solide salvaguardie per proteggere i diritti individuali, la privacy e la sovranità democratica.

Mentre il futuro del denaro si dispiega davanti a noi, è imperativo che rimaniamo vigili e impegnati nella difesa dei nostri valori e libertà fondamentali. Solo attraverso la consapevolezza, la partecipazione attiva e la vigilanza costante possiamo sperare di plasmare un sistema finanziario che sia veramente al servizio del bene comune e resistere alle forze che cercano di utilizzare le CBDC come strumento di controllo e dominio. Il futuro della nostra autonomia economica e della nostra stessa democrazia potrebbe dipendere dalle scelte che facciamo in questo momento critico.

Bibliografia commentata:

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   Questo rapporto del BIS fornisce una panoramica completa dei principi fondamentali e delle caratteristiche chiave delle CBDC, esaminando le loro potenzialità e sfide.

2. European Central Bank. (2020). Report on a Digital Euro.

   Questo rapporto della BCE esplora le possibili caratteristiche e implicazioni di un euro digitale, inclusi i potenziali benefici e rischi.

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   Questo paper esamina le potenziali implicazioni macroeconomiche delle CBDC, inclusi gli effetti sulla politica monetaria e la stabilità finanziaria.

4. Kahn, C. M., & Roberds, W. (2019). The Design of Central Bank Digital Currencies. Journal of Financial Intermediation, 41, 100830.

   Questo articolo discute le principali considerazioni di progettazione per le CBDC, inclusi i compromessi tra privacy, sicurezza e scalabilità.

5. Mancini-Griffoli, T., Peria, M. S. M., Agur, I., Ari, A., Kiff, J., Popescu, A., & Rochon, C. (2018). Casting Light on Central Bank Digital Currency. IMF Staff Discussion Note, 18/08.

   Questa nota di discussione del FMI esamina le motivazioni, le implicazioni e le sfide delle CBDC dal punto di vista delle banche centrali.

6. Agur, I., Ari, A., & Dell’Ariccia, G. (2022). Designing Central Bank Digital Currencies. Journal of Monetary Economics, 125, 62-79.

   Questo articolo esplora le diverse opzioni di progettazione per le CBDC e le loro implicazioni per la politica monetaria e la stabilità finanziaria.

7. Herrera, A., Ordoñez, G., & Trebesch, C. (2020). Political Booms, Financial Crises. Journal of Political Economy, 128(2), 507-543.

   Questo paper analizza il legame tra i boom politici e le crisi finanziarie, con implicazioni per il potenziale uso improprio delle CBDC a fini politici.

8. Auer, R., & Böhme, R. (2020). The Technology of Retail Central Bank Digital Currency. BIS Quarterly Review, March 2020.

   Questo articolo esamina le opzioni tecnologiche per le CBDC al dettaglio e le loro implicazioni per la privacy e la sicurezza.

9. Brunnermeier, M. K., & Niepelt, D. (2019). On the Equivalence of Private and Public Money. Journal of Monetary Economics, 106, 27-41.

   Questo paper analizza le differenze e le somiglianze tra moneta privata e pubblica, con implicazioni per l’introduzione delle CBDC.

10. Bindseil, U. (2020). Tiered CBDC and the Financial System. ECB Working Paper Series, No 2351.

    Questo working paper esamina le potenziali implicazioni di una CBDC a più livelli per il sistema finanziario e la politica monetaria.

11. Crisafi, C. (2021). Il Green Pass italiano alla luce del Regolamento europeo sul “Certificato COVID digitale”. MediaLaws – Rivista di diritto dei media, 3, 355-367.

    Questo articolo analizza l’implementazione del Green Pass in Italia nel contesto del regolamento europeo sul certificato COVID digitale.

12. World Economic Forum. (2021). Resetting Digital Currencies.

    Questo rapporto del WEF esplora il potenziale delle valute digitali per promuovere obiettivi sociali, ambientali e di governance, sollevando preoccupazioni sul loro potenziale uso come strumenti di controllo sociale.

13. Schwab, K., & Malleret, T. (2020). COVID-19: The Great Reset. World Economic Forum.

    Questo libro del fondatore del WEF, Klaus Schwab, e di Thierry Malleret propone una “Grande Reset” dell’economia globale in risposta alla pandemia di COVID-19.

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    Questo rapporto del WEF del 2006 delinea scenari catastrofici legati al cambiamento climatico, sollecitando un’azione urgente.

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    Questo articolo esamina le sfide e le prospettive dell’eNaira nigeriana in relazione all’inclusione finanziaria.

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    Questo paper analizza le opportunità e i rischi associati all’introduzione dell’eNaira in Nigeria.

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    Questo studio identifica i paesi ottimali per l’implementazione di una CBDC e discute le implicazioni per i sistemi di pagamento.

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    Questo articolo fornisce una panoramica dei pro e dei contro delle CBDC dal punto di vista delle banche centrali.

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    Questo working paper esamina i fattori trainanti, gli approcci e le tecnologie delle CBDC a livello globale.

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    Questo paper presenta i risultati di un sondaggio sullo stato di avanzamento dei progetti CBDC delle banche centrali di tutto il mondo.

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    Questo articolo esamina il concetto di società senza contanti e discute se rappresenti il futuro del denaro o un’utopia.

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    Questo articolo esamina la tendenza delle banche a monitorare l’impronta di carbonio delle transazioni dei clienti e discute le potenziali implicazioni per la privacy e la libertà individuale.

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    Questo articolo discute le crescenti critiche all’approccio dell’ex primo ministro australiano Scott Morrison alla gestione della pandemia di COVID-19, incluse severe restrizioni e controversi centri di quarantena.

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    Questo discussion paper della Bank of England esplora le opportunità, le sfide e le considerazioni di design per una potenziale sterlina digitale.

38. Sveriges Riksbank. (2021). E-krona Pilot Phase 1.

    Questo rapporto della banca centrale svedese descrive la Fase 1 del loro progetto pilota e-krona, una potenziale CBDC svedese.

39. Bank of Canada. (2021). Contingency Planning for a Central Bank Digital Currency.

    Questo discorso del Deputy Governor della Bank of Canada delinea l’approccio della banca alla pianificazione di emergenza per una potenziale CBDC canadese.

40. Bank for International Settlements. (2021). BIS Innovation Hub Work Programme 2021/22.

    Questa pagina web fornisce una panoramica del programma di lavoro dell’Innovation Hub della BIS sulle CBDC e i pagamenti digitali.

41. United Nations. (2021). UN/DESA Policy Brief #92: Digital Technologies for Sustainable Development.

    Questo policy brief delle Nazioni Unite discute il ruolo delle tecnologie digitali, incluse le CBDC, nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dell’Agenda 2030.

42. World Economic Forum. (2018). Platform for Good Digital Identity.

    Questa pagina web descrive l’iniziativa del WEF per stabilire standard globali per i sistemi di identità digitale, evidenziando le connessioni con l’agenda delle CBDC.

43. World Economic Forum. (2021). Our Mission.

    Questa pagina web delinea la missione e gli obiettivi dichiarati del World Economic Forum, fornendo un contesto per il suo ruolo nell’agenda globale.

44. Carstens, A. (2021). Digital Currencies and the Future of the Monetary System. Bank for International Settlements.

    Questo discorso del General Manager della BIS, Agustín Carstens, al World Economic Forum Davos Agenda 2021 discute il ruolo delle valute digitali nel futuro del sistema monetario.

45. International Monetary Fund. (2021). The Rise of Public and Private Digital Money.

    Questo articolo del Fondo Monetario Internazionale esamina l’ascesa delle valute digitali pubbliche e private, incluse le CBDC, e le loro implicazioni per il sistema finanziario globale.

46. Georgieva, K. (2020). A New Bretton Woods Moment. International Monetary Fund.

    Questo discorso del Managing Director dell’FMI, Kristalina Georgieva, invoca una “nuova Bretton Woods” e una riconfigurazione del sistema finanziario globale, allineandosi con l’agenda della “Grande Reset” del WEF.

47. United Nations. (2019). World Economic Forum and UN Sign Strategic Partnership Framework.

    Questo articolo descrive il memorandum d’intesa firmato tra il WEF e le Nazioni Unite per accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile.

48. ID2020. (2021). What is ID2020?

    Questa è la pagina web ufficiale dell’iniziativa ID2020, che mira a stabilire un sistema di identità digitale globale, sollevando preoccupazioni sulla sorveglianza e il controllo di massa.

49. Schwab, K. (2016). The Fourth Industrial Revolution. World Economic Forum.

    Questo libro del fondatore del WEF, Klaus Schwab, delinea la sua visione di un futuro globale radicalmente trasformato dalle tecnologie emergenti, incluse le valute digitali.

50. ID2020. (2021). Partners.

    Questa pagina web elenca i partner dell’alleanza ID2020, evidenziando la vasta gamma di attori coinvolti nell’iniziativa, dalle multinazionali tecnologiche alle organizzazioni filantropiche e alle agenzie delle Nazioni Unite.

51. Perez, B. (2021). Blockchain Identity Startup Aims to Bring Visibility to Invisible Children. Forbes.

    Questo articolo discute l’uso della tecnologia blockchain da parte di ID2020 per creare un sistema di identità digitale “fondato sulle vaccinazioni”, sollevando preoccupazioni sul potenziale di esclusione e discriminazione.

52. ID2020. (2018). Digital Identity: A Cornerstone of Sustainable Development.

    Questo white paper di ID2020 propone di collegare le identità digitali ai record di immunizzazione, suggerendo che le vaccinazioni potrebbero servire come punto di ingresso per la registrazione digitale nei paesi in via di sviluppo.

53. Burt, C. (2021). ID2020 and Partners Advance Digital ID Vaccination Records Project. Biometric Update.

    Questo articolo esamina criticamente il progetto di ID2020 di collegare le identità digitali ai record di vaccinazione, sollevando accuse di “colonialismo digitale” e preoccupazioni sulla privacy.

54. Hertig, A. (2020). How Blockchain Tech Could Help Roll Out a COVID-19 Vaccine. CoinDesk.

    Questo articolo esplora il potenziale delle tecnologie blockchain, come quelle proposte da ID2020, di essere utilizzate per monitorare e far rispettare la conformità con i programmi di vaccinazione, sollevando interrogativi sui diritti individuali e sull’autonomia.

55. Zuboff, S. (2019). The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power. PublicAffairs.

    Questo libro influente conia il termine “capitalismo di sorveglianza” e esplora le implicazioni di un futuro in cui ogni azione è tracciata, valutata e potenzialmente censurata da potenti entità aziendali e governative.

56. Rahman, Z. (2019). Bangladesh’s Experiment with Blockchain-Based Digital Identity. The New Humanitarian.

    Questo articolo discute criticamente la partnership di ID2020 con il governo del Bangladesh per implementare un sistema di identità digitale per i rifugiati Rohingya, sollevando preoccupazioni sul potenziale di profilazione etnica e sorveglianza invasiva.

57. Drèze, J. (2018). Unique Facility, or Recipe for Trouble?. The Hindu.

    Questo articolo di opinione esamina criticamente il programma Aadhaar dell’India, il più grande sistema di identità biometrica al mondo, evidenziando i suoi problemi di esclusione ed errore.

Materie prime ed economia globale

L’offerta globale di materie prime alimentari ed energetiche chiave sta iniziando ad avere un impatto sull’economia globale, e a questo vanno aggiunti anche l’aumento dell’inflazione core e la politica aggressiva delle Banche centrali, che potrebbero avere un ulteriore impatto sulla crescita economica.

L’indice globale dei prezzi di tutte le materie prime è più che raddoppiato dal suo minimo pandemico nel secondo trimestre del 2020.

iNDICE PREZZO GLOBALE DELLE MATERIE PRIME

Le imprese e i consumatori stanno già sentendo l’impatto del rally dei prezzi delle materie prime, e questo va dal petrolio greggio ai cereali fino ai metalli. I mercati delle materie prime stanno complicando le prospettive di crescita economica comportando un aumento dei prezzi di prodotti alimentari e dell’energia per i consumatori a livello globale.  L’impennata delle materie prime, tra cui petrolio greggio, gas naturale, grano, soia e metalli industriali e preziosi, ha già colpito i prezzi al consumo, con l’inflazione che ha raggiunto i massimi da 40 anni. Tutto ciò ha spinto la FED a iniziare ad aumentare i tassi di interesse per domare l’inflazione, prevedendo ulteriori rialzi nei prossimi mesi.

La Federal Reserve è il massimo investitore mondiale- The Cryptonomist
Federal Reserve

Teniamo presente che, a livello globale, l’offerta di materie prime di ogni tipo è inferiore alla domanda, con le scorte di energia, agricoltura e metalli criticamente basse ovunque. L’effetto di questo sarà che i prezzi rimarranno elevati fino alla fine del prossimo anno. 

L’offerta di materie prime potrebbe scendere ancora di più se la guerra Russo Ucraina interrompesse materialmente le esportazioni di prodotti energetici dalla Russia e/o le esportazioni di grano e mais dall’Ucraina, che ricordiamo è uno dei principali esportatori mondiali di mais, grano e oli vegetali. La riduzione delle esportazioni di materie prime agricole ucraine potrebbe aumentare l’insicurezza alimentare in molti paesi dell’Asia meridionale, dell’Asia occidentale e dell’Africa, portando ad un possibile aumento dei flussi migratori.

Secondo i dati ONU, negli ultimi tre anni la Russia e l’Ucraina insieme hanno rappresentato rispettivamente circa il 30% e il 20% delle esportazioni globali di grano e mais. La FAO da parte sua ha puntualizzato l’effetto sui prezzi alimentari che hanno registrato una media di 159,3 punti a marzo, in crescita del 12,6% rispetto a febbraio.

Anche per il prossimo anno abbiamo ulteriori aspettative di riduzione dell’offerta, causate dalle interruzioni delle forniture dall’Ucraina nonché dall’aumento del costo del carburante e dei fertilizzanti.

Mercati futures oil & gas e gli speculatori

La guerra in Ucraina e le sanzioni sempre più dure contro la Russia hanno interrotto molteplici canali di approvvigionamento del petrolio greggio e del gas.

Le turbolenze del mercato delle materie prime e la sua estrema volatilità hanno comportato un aumento significativo dei margini iniziali portando a un esodo di speculatori dai futures del petrolio. La minore liquidità nel mercato petrolifero ha esacerbato la volatilità al punto che alcuni trader hanno affermato a marzo che “il mercato non è tradabile“.

Gli elevati requisiti di margine hanno aumentato le esigenze di liquidità delle società di trading di materie prime, che commerciano barili fisici in tutto il mondo. Attraverso contratti futures su materie prime, le trading houses si proteggono dai rischi. Senza i derivati sulle materie prime, molti trader non sarebbero in grado di spostare volumi fisici di petrolio.   

Abbiamo bisogno di un mercato dei futures sulle materie prime pienamente funzionante e ciò che abbiamo osservato è una diminuzione dell’open interest. Secondo quanto dichiarato dal CFO di Trafigura, al FT Commodities Global Summit il mese scorso, supponendo che la situazione non si normalizzi, ci saranno conseguenze negative sul mercato dei futures divenuto inefficiente nel mercato fisico.

Anche se la pace verrà raggiunta in Ucraina, è probabile che i mercati continueranno a scontare i rischi politici per materie prime come petrolio, grano, mais, nichel e palladio, con i prezzi del petrolio che potrebbero rimarranno elevati per anni.

Implicazioni economiche e politiche nel pagamento del gas in rubli

A marzo il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia, nei pagamenti per le forniture di gas naturale agli acquirenti provenienti da Paesi “ostili”, accetterà solo rubli e non più euro e dollari.

Putin sta facendo progressi, pronto al piano B"

Parlando delle valute occidentali, tradizionalmente utilizzate per pagare il gas russo, le ha definite “compromesse“, aggiungendo che questo è solo l’inizio! 

Secondo Putin, non ha più senso fornire beni a Paesi che hanno congelato le riserve russe in dollari, euro e una serie di altre valute facendo così perdere a queste il loro valore di mercato. 

I fornitori nazionali dovranno rinegoziare i contratti entro il 31 marzo. “Il cambiamento nella procedura per i pagamenti è dovuto al fatto che, in violazione delle norme del diritto internazionale, le riserve valutarie della Banca di Russia sono state congelate dagli Stati membri dell’UE”, afferma il messaggio sul sito web del Cremlino. “È stato osservato che la decisione non dovrebbe portare a un deterioramento delle condizioni contrattuali per le società europee che importano gas russo”, ha aggiunto il Cremlino.

La Banca centrale russa alza i tassi al 20%. Corsa dei gestori a vendere  gli asset - MilanoFinanza.it
Banca Centrale di Russia

Il vice primo ministro Alexander Novak ha concordato sull’inaffidabilità di vendere  petrolio in cambio di dollari ed euro. La Russia ha offerto ai paesi dell’UE di aprire un conto in rubli nelle banche russe per pagare il gas. 

Alexander Novak ministro russo positivo - IlTarantino.it
Alexander Novak

A queste voci si è aggiunta anche quella del presidente della Federazione Russa Dmitry Peskov. “Le aziende devono comprendere le mutate condizioni del mercato e l’ambiente completamente mutato che è sorto nelle condizioni della guerra economica condotta contro la Russia”, ha spiegato il portavoce del Cremlino.

Chi è Dmitry Peskov, l'eminenza grigia di Putin
Dmitry Peskov

Secondo Peskov, le compagnie straniere “dovrebbero capire che con la loro valuta, euro o dollari, devono solo comprare rubli e pagare il gas con i rubli”, quindi, di fatto, la situazione è pressoché invariata. Allo stesso tempo, i dettagli dell’ordine presidenziale di cambiare la valuta dei pagamenti saranno calcolati in modo che il sistema sia semplice, comprensibile, trasparente e fattibile per gli acquirenti europei e di altro tipo, ha osservato.

Il portavoce ha aggiunto che la Russia è sempre stata e rimane un fornitore affidabile di risorse energetiche. “La Russia è interessata a vendere il suo gas. Siamo sicuri di avere il miglior gas in offerta sul mercato in termini di ritmo delle consegne, in termini di prezzo e in termini di affidabilità. Non esiste gas migliore di quello russo, tutte le altre opzioni sono peggiori. Questa è la realtà”, ha sottolineato Peskov, sembrando così un addetto al marketing! E’ sottinteso, secondo i portavoce, che la Russia non fornirà gas gratuitamente se l’Unione europea si rifiuta di pagarlo in rubli.

L’Unione Europea, è ovviamente contraria alla decisione del Cremlino, ma c’è il rischio di rimanere senza gas se la proposta russa, che di fatto è un ultimatum, verrà respinta. Il presidente russo ha comunque affermato che gli altri termini dei contratti non saranno rivisti. Ciò significa che la fornitura dei beni rimarrà esattamente la stessa di prima in termini di prezzi e di modalità. 

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Secondo la nuova procedura indicata dal Cremlino, per pagare il gas le società straniere, che in precedenza si accordavano direttamente con Gazprom in dollari ed euro, ora dovranno aprire un doppio conto corrente presso la Banca Gazprom in cui, nel primo pagheranno in euro o dollari e nel secondo si preoccuperà la Banca stessa a girare gli importi convertendoli nel contempo in rubli.

Gazprombank - Dago fotogallery
Gazprombank

Anche se il modo più semplice sarebbe stato quello di acquistare rubli dalla Banca Centrale di Russia direttamente dagli stessi importatori, ma la UE ha posto questa banca sotto sanzioni, sanzioni che, chiaramente, colpiscono negativamente gli europei stessi.

 L’ultimatum russo “pagare il gas in rubli” è una questione di principio per il Cremlino, poiché metà delle riserve auree e valutarie della sua Banca Centrale sono state congelate. Si tratta di circa 300 miliardi di dollari. Questo ultimatum è un messaggio preciso per l’Europa, che significa: “Se rimuovi le sanzioni alla Banca centrale, vivrai più facilmente”

….oppure muori e fai morire.

Gazprom provvederà a inviare una bozza di accordo supplementare a tutte le sue controparti. Sono state apportate modifiche alla clausola del contratto che specifica la valuta in cui verranno effettuati i pagamenti per il gas fornito. E se le compagnie firmeranno questo accordo aggiuntivo, riconosceranno la loro dipendenza dal gas russo. In effetti, leggendo tra le righe, l’ultimatum russo è: “O passiamo ai pagamenti in rubli, o non vendiamo gas a voi”.

Per molti Paesi europei sta emergendo una situazione drammatica: la stagione invernale sta finendo e i depositi di gas sono vuoti. I Paesi europei ora hanno bisogno di comprare molto gas per reintegrare le scorte e prepararsi al prossimo inverno.

Se la Commissione europea, ad esempio, interviene vietando il pagamento del gas in rubli, la Russia può considerarlo come una sanzione e cessare le forniture. 

Ma non solo, la Russia, come contromisura, potrebbe imporre un divieto sulla fornitura di petrolio e carbone, che porterà sicuramente ad una profonda crisi energetica e, a seguire, industriale e sociale.

L’abbandono da parte dell’Europa del gas e del petrolio russi comporterà conseguenze molto gravi per gli stessi europei. Da un lato, questo porterà ad un inevitabile aumento dei prezzi del gas in tutto il mondo. Dall’altro, porterà a interruzioni di energia elettrica in Europa, poiché parte della fornitura di energia elettrica viene prodotta utilizzando il gas. Ciò solleva la domanda: come si preparerà l’Europa per il prossimo inverno senza le forniture energetiche russe? In questo caso l’Europa dovrà fare scorta di carbone, ma la Russia fornirà carbone ai Paesi europei? La Russia è uno dei maggiori fornitori di carbone sul mercato mondiale, secondo solo all’Indonesia e all’Australia in termini di volumi e, a partire dal 2019, la Russia ha coperto il fabbisogno di carbone europeo per ben una quota del 47%.

Quindi, dal punto di vista economico, non solo la Russia stessa soffrirà delle sanzioni, ma anche i Paesi europei. Gli interessi dell’UE soffriranno anche da un punto di vista politico, poiché la guerra economica dichiarata alla Russia rafforzerà ulteriormente la posizione degli Stati Uniti in Europa, aumenterà la dipendenza dei Paesi europei.

L’Italia, da parte sua, ha annunciato l’impossibilità di pagare il gas russo in rubli, di fatto tagliandoci fuori dalla fornitura … e qualcuno ancora li chiama il governo dei migliori …

Draghi ha anche detto di aver ricevuto da Putin una lunga spiegazione su come mantenere i pagamenti in euro, tenendo conto delle intenzioni di Mosca di passare ai rubli.

“Ho appena sentito che poi lo staff tecnico dovrebbe consultarsi su questo tema per capire come avrebbe funzionato. Quello che ho capito è che il trasferimento del pagamento da euro e dollari a rubli è una questione interna della Russia “, ha spiegato molto vagamente. Ma Draghi non era un quotato banchiere delle grandi banche europee?

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La più grande compagnia petrolifera e del gas italiana, Eni, ha annunciato l’impossibilità di pagare il gas russo acquistato in rubli, come richiesto dal presidente russo Vladimir Putin. Le parole del capo dell’Eni, Claudio Descalzi, sono state: “Ci hanno chiesto di pagarlo [gas] in rubli. Non saremo in grado di farlo perché non abbiamo rubli. E questo non è previsto dal contratto, che specifica i pagamenti in euro”, ha detto Descalzi, aggiungendo che i termini del contratto non possono essere modificati unilateralmente.

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Il capo dell’Eni ha anche sottolineato di non essere sicuro delle future forniture di gas dalla Russia, che ora vengono effettuate attraverso il territorio ucraino. L’Europa, secondo Descalzi, purtroppo non ha mai pensato alla propria sicurezza energetica, ma il top manager ha proposto il carburante dei Paesi africani come un’alternativa al gas russo.

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Enrico Mattei

Anche il Giappone, attraverso le dichiarazioni di Novosti Toshihiro Sugiura, ricercatore dell’Institute for Economic Research of North Asia (ERINA),   si è dichiarato contrario al pagamento del gas russo in rubli definendo improbabile che le compagnie occidentali paghino il gas in rubli, poiché questo requisito è una modifica unilaterale del contratto.

Lo specialista giapponese osserva che la richiesta della Russia è una violazione del contratto tra l’esportatore e l’importatore, poiché i cambiamenti di solito vengono raggiunti previo accordo di entrambe le parti e non unilateralmente. “Questa è una decisione politica”, osserva l’esperto. 

Anche in Germania, secondo quanto riferito dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, con riferimento alla conversazione telefonica tenuta con il leader russo mercoledì 30 marzo questo avrebbe ammorbidito le sue richieste nei confronti dei Paesi europei, proponendo lo schema di cui abbiamo parlato con l’intervento della Banca Gazprom, in qualità di cambiavalute.

Scholz “non ha accettato questa procedura ma ha solo richiesto informazioni scritte per comprenderla più accuratamente.” 

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La Gazprombank è la terza in Russia, in termini di attività, e non rientra nel nuovo, quinto pacchetto di sanzioni dell’UE, che è attualmente in fase di sviluppo. Avendo ricevuto euro, potrà convertirli in rubli e trasferire fondi a Gazprom.

L’analista Evgeny Kogan ha osservato che una tale richiesta di Putin viola i contratti conclusi, poiché cambia il livello di rischio calcolato per gli acquirenti. A suo parere, un compromesso su questo tema sembra probabile, ma richiede uno sforzo reciproco, che l’Europa non ha ancora dimostrato.

L’Unione europea ha preso parte alla discussione del gruppo di paesi del G7 sulla questione del pagamento del gas russo in rubli, respingendo l’obbligo di pagare il gas in rubli  e, conseguentemente, le conclusioni dei Paesi del G7 sono valide anche per l’UE. Lo ha affermato durante un briefing il rappresentante ufficiale della Commissione europea, Eric Mamer.

“La nostra posizione è la stessa del G7”, ha detto, commentando l’ordine del presidente russo Vladimir Putin di accettare il pagamento per l’esportazione di gas russo solo in rubli.

Successivamente, i Paesi del G7 hanno esortato le aziende locali a non accettare fatture in rubli per la fornitura di gas russo. L’accordo è stato raggiunto in una riunione straordinaria dei ministri dell’energia di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti.

Commentando il rifiuto del G7 di acquistare gas russo in rubli, il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha affermato che la Russia non intende impegnarsi in beneficenza, il suo gas naturale non è gratuito!

Di contro, il Cremlino ha esortato a elaborare la proposta di Volodin di espandere l’elenco delle merci da esportare per rubli includendo, oltre il gas, anche fertilizzanti, grano, petrolio, carbone, metalli, legname e molto altro.    

La motivazione di questa decisione, secondo l’addetto stampa del Presidente della Federazione Russa Dmitry Peskov , è un incipiente indebolimento della posizione del dollaro, come principale valuta mondiale, e la conseguente necessità di passare alla pratica di utilizzo di valute nazionali.

“Questa è un’idea che, naturalmente, dovrebbe essere elaborata, tenendo conto del fatto che ci sono Paesi che mostrano un interesse per i regolamenti reciprocamente in valute nazionali … Dato che, negli ultimi anni, il prestigio del dollaro, come principale valuta di riserva mondiale, è stato scosso e la fiducia in altre valute internazionali non è al più alto livello, l’unica alternativa inevitabile a questi processi sarà quella di espandere la pratica di utilizzare le valute nazionali “, ha detto Peskov ai giornalisti.

Conseguenze alimentari della guerra in Ucraina.

Negli articoli precedenti (qui, qui, e qui)abbiamo approfondito i riflessi economici degli eventuali blocchi alle esportazioni di beni energetici dalla Russia.

Ora approfondiamo l’aspetto legato alla produzione di prodotti agricoli, visto che i divieti di esportazione, i prezzi elevati e l’aumento dei costi di trasporto potrebbero impedire ai Paesi vulnerabili di procurarsi scorte alimentari sufficienti.

L’Ucraina e la Russia sono i principali esportatori di prodotti alimentari. Ognuno di essi fornisce circa il 6% delle quote di mercato globali in beni alimentari. Già nel febbraio 2022, prima dell’invasione russa, i prezzi dei prodotti alimentari erano a un livello record a causa della ripresa della domanda post covid-19. Ma la guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni potrebbero implicare un perdurare dei prezzi elevati dei prodotti alimentari.

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Le materie prime per le quali la Russia e l’Ucraina svolgono i ruoli più importanti sono grano, orzo, mais, semi di girasole e oli di girasole. Le quote russo-ucraine delle esportazioni globali di orzo e grano sono aumentate nel 2021, rispettivamente al 14% e al 10%.

Di contro alcuni Paesi sono estremamente vulnerabili, soprattutto i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa che dipendono quasi esclusivamente dalle importazioni per il loro consumo di cereali e importano oltre il 10% del loro fabbisogno dall’Ucraina e dalla Russia.

I più a rischio sono Giordania, Yemen, Israele, Libia e Libano. Lo Yemen e il Libano hanno gravi preesistenti problemi di insicurezza alimentare e importano rispettivamente il 31% e il 47% dei loro cereali dall’Ucraina e dalla Russia.

Alcuni Paesi europei e dell’Asia centrale, anche se con una maggiore quota di produzione cerealicola nazionale, si affidano completamente all’Ucraina e alla Russia per i cereali che importano. Questi includono Armenia (92% delle importazioni dai due Paesi), Georgia (85%) e Azerbaigian (77%).

Anche un certo numero di paesi dell’Africa sub-sahariana sono vulnerabili perché, sebbene dipendano dall’Ucraina e dalla Russia solo in misura limitata per i cereali, hanno poca capacità economica di adattarsi all’aumento dei prezzi e alle interruzioni dell’approvvigionamento. Questi includono soprattutto il Sudan e il Congo.

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Oli vegetali.

Russia e Ucraina rappresentano congiuntamente il 57% delle esportazioni globali di olio di girasole. I prezzi dell’olio vegetale erano già ai massimi storici nel febbraio 2022. Questi prezzi sono stati il principale motore dell’inflazione alimentare dalla fine del 2021. L’elevato prezzo di questi prodotti, che sono usati nella maggior parte delle trasformazioni alimentari, è il risultato di una combinazione di maltempo, cattivo raccolto e aumento dei prezzi dell’energia. La guerra sarà un’ulteriore causa di aumento dei prezzi degli oli vegetali, data l’importanza nella regione Ucraina della produzione di olio di girasole. Tra il 35% e il 40% dell’olio di girasole dell’UE proviene proprio dall’Ucraina.

L’invasione avrà anche un impatto sull’approvvigionamento alimentare attraverso la fornitura di fertilizzanti.

I prezzi dei fertilizzanti erano già in aumento prima della guerra, raggiungendo livelli mai visti dalla crisi finanziaria globale. L’impennata dei prezzi è dovuta principalmente all’aumento dei prezzi del gas, che ha frenato la produzione di importanti componenti nella fabbricazione di fertilizzanti, come l’ammoniaca.

La Russia e la Bielorussia sono rispettivamente il primo e il sesto maggiore esportatore mondiale di fertilizzanti, rappresentando un totale del 20% dell’offerta globale. La Russia rappresenta quasi un decimo dei fertilizzanti globali a base di azoto e fosfato e, con la Bielorussia, rappresenta circa un terzo della produzione di cloruro di potassio. La guerra avrà un impatto diretto poiché la Russia ha già annunciato divieti di esportazione di fertilizzanti verso “paesi non amici” tra i quali è presente l’Italia grazie al governo e a chi lo sostiene.

Draghi: La macelleria sociale deve andare avanti! | lo specchio del pensiero

Gli impatti indiretti si faranno sentire anche in quanto la produzione di fertilizzanti è ad alta intensità energetica, basandosi in particolare sul gas naturale. La produzione di fertilizzanti e dell’ammoniaca assorbe tra l’1 e il 2% del consumo energetico globale.

L’interruzione del mercato globale dei fertilizzanti avrà un impatto importante sulle rese delle colture e sul reddito agricolo. Nell’UE, gli agricoltori saranno colpiti sia dagli aumenti dei prezzi che dalle rinnovate restrizioni commerciali. Tra l’altro l’UE ha già introdotto sanzioni sulle esportazioni bielorusse di cloruro di potassio. La stessa però dipende per l’85% del suo consumo di cloruro di potassio dalle importazioni, di cui il 27% dalla Bielorussia.

Il grande discorso di Ursula von der Leyen sulla parità di genere -  Linkiesta.it

Visione di medio-lungo periodo.

Oltre all’interruzione a breve termine delle esportazioni dall’Ucraina, queste potrebbero essere ancora limitate per un periodo medio-lungo a causa delle infrastrutture danneggiate dalla guerra e dal fatto che le colture potrebbero non essere piantate quest’anno. Oltre a queste problematiche, sia l’Ucraina che la Russia hanno imposto restrizioni all’esportazione per sostenere la domanda interna. A marzo l’Ucraina ha vietato le esportazioni di una serie di prodotti alimentari (segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne) fino alla fine del 2022.

Finora, le grandi aziende agricole in Ucraina hanno sospeso le operazioni a causa di problemi per la sicurezza. Le principali infrastrutture, in particolare i porti da cui la maggior parte dei cereali viene inviata, rimangono intatte ma non sono operative. La guerra si sta sviluppando nelle zone dell’est e nel sud-est dell’Ucraina, dove esiste una importante concentrazione di colture. Aspettiamoci quindi che i terreni agricoli potrebbero essere danneggiati, o almeno non seminati.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura finora prevede che una percentuale tra il 20% e il 30% dei terreni solitamente destinati a cereali, mais e semi di girasole non produrrà raccolti per il prossimo anno. Nel peggiore dei casi, l’Ucraina avrà bisogno di tutto ciò che può produrre per il suo consumo interno e le esportazioni saranno azzerate. Nel secondo scenario peggiore, l’Ucraina sarà ancora in grado di portare metà della sua normale produzione sui mercati di esportazione. E nel migliore dei casi, che probabilmente si materializzerebbe solo se le ostilità finissero rapidamente, l’Ucraina potrebbe perdere solo il 33% delle sue esportazioni.

Mipaaf - FAO

Per le esportazioni russe, gli scenari prevedono una riduzione dal 10% al 30%. Finora, la Russia ha chiuso il Mare di Asov alle navi commerciali, ma ha mantenuto aperto il suo porto del Mar Nero, da dove viene spedita la maggior parte dei suoi cereali. Di fronte all’aumento dei prezzi alimentari, la Russia ha iniziato a frenare le esportazioni già a dicembre 2021. Nel marzo 2022, le esportazioni di cereali verso l’Asia centrale sono state sospese.

Infine, una carenza di fertilizzanti implicherebbe una riduzione della produzione alimentare in altre parti del mondo, porterebbe ad un maggiore divario tra le esigenze dei Paesi importatori e le possibilità dei Paesi esportatori.

Il risultato più evidente peserebbe sui Paesi più esposti cioè i Paesi a basso e medio reddito dell’Asia centrale, dell’Europa orientale, del Medio Oriente e del Nord Africa. Lo shock dell’offerta si tradurrà in prezzi più elevati. Anche i Paesi dell’Africa sub-sahariana, tra cui Mauritius, Capo Verde, Botswana, Lesotho e Namibia, potrebbero essere colpiti tanto quanto quelli che sono storicamente dipendenti dalle importazioni dall’Ucraina e dalla Russia. Inoltre, i Paesi con basso reddito disponibile hanno una situazione finanziaria significativamente peggiorata già dalla pandemia di COVID-19.

Spostare le rotte di approvvigionamento per le materie prime agricole sarà anche impegnativo dal punto di vista della logistica. Molti Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa si affidano alla rotta del Mar Nero. Per i Paesi a basso e medio reddito, i costi di importazione da luoghi più lontani saranno più difficili da assorbire, soprattutto perché questi dipendono principalmente dall’andamento dei valori del carburante e dell’energia.

Conclusioni e considerazioni

L’offerta di cibo più bassa e i prezzi più alti persisteranno nei prossimi mesi. L’inflazione globale aumenterà con l’aumento storico combinato dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari. Questi fattori avranno come diretta conseguenza l’aumento dei bisogni umanitari e di rischi politici. Un certo numero di Paesi sta già applicando restrizioni all’esportazione per garantire le proprie forniture, esacerbando i problemi per i Paesi più vulnerabili.

 Anticipare le carenze future potrebbe aiutare in modo significativo ad ammorbidire il colpo e limitare gli impatti umanitari degli shock dell’approvvigionamento alimentare. I principali produttori, tra cui l’UE, gli Stati Uniti e l’Australia, potrebbero prepararsi. Queste economie hanno industrie agro-alimentari molto efficienti e potrebbero aumentare la produzione su terreni incolti. L’UE in particolare, con la sua vicinanza ai mercati più vulnerabili, deve consentire ai suoi agricoltori di aumentare drasticamente la produzione di cereali. Le colture per il consumo alimentare dovrebbero essere prioritarie, ove possibile, rispetto ai foraggi e ai biocarburanti, che restano comunque, molto richiesti nei Paesi sviluppati a causa dell’impennata dei prezzi dell’energia.

Attualmente l’UE produce colture energetiche su circa il 15% dei suoi seminativi. Inoltre, data l’entità dello shock attuale, l’obbligo per gli agricoltori dell’UE di lasciare il 5% dei seminativi come “aree di interesse ecologico” – incolte e senza uso di fertilizzanti – dovrebbe essere revocato per l’attuale stagione di semina. Purtroppo questa è terminata alla fine di marzo e sarà probabilmente molto limitata, ma per la prossima stagione sarà fondamentale garantire che le scorte alimentari siano reintegrate.

Una delle principali sfide per gli agricoltori dell’UE rimane l’impennata dei prezzi dei fattori di produzione, compresi i fertilizzanti e il carburante. Ciò potrebbe giustificare un sostegno mirato per garantire che le aziende agricole rimangano economicamente sostenibili. Alcuni agricoltori europei potrebbero essere al sicuro dallo shock dei fertilizzanti di quest’anno perché hanno già ciò di cui hanno bisogno, ma effetti negativi saranno evidenti pienamente l’anno prossimo.

Questa analisi rende molto razionale e logico sia il problema che la sua eventuale soluzione. Ma dobbiamo purtroppo renderci conto che i problemi citati non scaturiscono direttamente dalla guerra, ma soprattutto dalle scellerate scelte della governance europea, effettuate in questo periodo ma ancor più nei precedenti. Alla luce di questa considerazione, non si può sperare nella logica e razionale lungimiranza delle autorità competenti che, negli anni, hanno dato prova di essere portatori degli interessi delle multinazionali e dei lobbisti che li rappresentano.

Petrolio? Mala tempora currunt …

Le problematiche geopolitiche possono creare effetti imprevedibili e indesiderati. L’invasione russa dell’Ucraina e la risposta dell’Occidente forniscono un’idea di quanti danni possa provocare questa combinazione.

Ucraina: cosa vuole la Russia, cosa può fare l'Occidente — L'Indro

Il prezzo del petrolio prima dell’invasione era scambiato poco sopra i 90 $ al barile. L’offerta, che era stata ridotta durante la pandemia, stava ripartendo lentamente rispondendo al rimbalzo della domanda conseguente alla fine dei lockdown.

Ma con l’inizio delle ostilità e le successive sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia (con l’eccezione delle sue esportazioni di petrolio e gas a causa della dipendenza dell’Europa da loro) abbiamo visto il prezzo salire a quasi $US 140 al barile, prima di scendere al suo livello attuale di circa $US 115 al barile. Un aspetto molto rilevante è stata l’eccezionale volatilità, con movimenti intraday fino al cinque per cento.

Questa entità dei movimenti dei prezzi ha causato una forte pressione finanziaria per i traders di petrolio e i loro finanziatori. Questo, a sua volta, ha impattato sull’offerta fisica di petrolio.

Nonostante le sanzioni non si applichino, attualmente, alle esportazioni di petrolio e gas della Russia, gli acquirenti e i traders si sono “auto-sanzionati”, sia a causa del timore di danni alla reputazione per essere considerati filo russi – il tipo di danno subito da Shell quando ha acquistato un carico a basso costo di petrolio russo – oppure nel timore di essere inavvertitamente coinvolti nella rete di sanzioni finanziarie.

A questo si aggiunge l’incertezza nel divenire della crisi. Ogni notizia proveniente dall’Ucraina, oppure ogni volta che viene promossa un’estensione delle sanzioni, oppure ogni volta che ci sono negoziati tra Ucraina e Russia si generano volatilità e rischio. Un carico di petrolio potrebbe avere un valore quando lascia un porto e uno molto diverso una volta giunto a destinazione.

Petroliera - Wikipedia

Tutto questo ha stressato i mercati delle materie prime in generale e il mercato petrolifero in particolare.

I traders stanno esperendo una crisi di liquidità a causa delle aumentate richieste di margine, sia nel mercato fisico del petrolio che nei mercati dei derivati. Gli stessi hanno usato i prestiti bancari per finanziare i carichi di petrolio e altre materie prime che spediscono in tutto il mondo. E poiché i prezzi delle materie prime sono aumentati dopo l’invasione, il requisito di finanziamento per ogni spedizione è aumentato bruscamente. Di conseguenza anche i costi di copertura del valore dei carichi contro il rischio nei mercati finanziari sono aumentati drasticamente.

La posizione dei traders e dei produttori di petrolio, peraltro, non è aiutata dal fatto che il mercato dei futures per il petrolio è in “backwardation“, cioè il prezzo atteso del petrolio in futuro è inferiore al prezzo attuale.

Con gli USA che, da un lato cercano di fare un accordo con l’Iran e il Venezuela per aumentare la loro produzione in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, e dall’altro fanno pressione sull’Arabia Saudita per attingere alla sua capacità produttiva, ostinatamente non utilizzata in pieno (ricordiamo che esiste un accordo OPEC per limitare la crescita della sua offerta), è possibile un aumento dell’offerta, anche se improbabile nel breve termine.

Wikileaks annuncia che le riserve di petrolio dell'Arabia Saudita sono  state gonfiate - Rete Clima

Gli europei stanno attualmente discutendo se includere l’energia russa nelle loro sanzioni (gli Stati Uniti e il Canada hanno già smesso di acquistare petrolio russo), anche se Germania e Ungheria sono apparentemente contrarie. Ricordiamo che la Russia fornisce la maggior parte del petrolio e del gas della Germania. Ricordiamo che le sanzioni richiedono l’approvazione di tutti i 27 membri dell’Unione e se ciò dovesse accadere si potrebbe innescare una forte salita del prezzo del petrolio che potrebbe scatenare una recessione profonda e prolungata all’economia globale.

ECONOMIA: IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE PREVEDE UNA GRAVE RECESSIONE  GLOBALE – Radio Onda d`Urto

E’ saggio per la Ue imporre limitazioni o blocchi alle importazioni di prodotti energetici dalla Russia?

Uno stop alle forniture russe di petrolio, gas e carbone spingerebbe la zona UE in un doloroso periodo di crisi economica per le difficoltà energetiche, che finiranno per scaricarsi sulla cittadinanza, già martoriata da due anni di folli interventi imposti con la pretesa di arginare l’epidemia COVID-19.

Stati Uniti, Canada e Regno Unito hanno annunciato embarghi o misure di eliminazione graduale dei prodotti energetici provenienti dalla Russia. Ma ricordiamo che questi Paesi hanno nei loro territori cospicue produzioni petrolifere.

L’Unione Europea invece si è mostrata titubante lanciando una nuova strategia energetica, REPowerEU.

La strategia mira a ridurre di quasi due terzi le importazioni di gas dell’UE dalla Russia entro la fine del 2022 e a rendere l’Europa indipendente da tutti i combustibili fossili russi entro il 2030.

Ammesso che la UE, nel suo insieme, possa affrontare il prossimo inverno senza gas russo, potremmo sostenere anche un’interruzione delle forniture di petrolio e carbone?

Alcuni operatori del mercato hanno già iniziato a limitare i loro acquisti di carbone e petrolio dalla Russia, altri hanno smesso di acquistare petrolio russo, mentre altri ancora acquistano solo con uno sconto sostanziale. L’Agenzia internazionale per l’energia suggerisce che 3 milioni di barili al giorno (mb / d) di petrolio greggio e prodotti petroliferi russi potrebbero non trovare allocazione nei mercati a partire da aprile 2022, a causa delle sanzioni.

Petrolio

La Russia è il più grande esportatore di petrolio al mondo, con circa l’8% dell’offerta mondiale, e l’UE il secondo importatore mondiale e il più grande acquirente di petrolio russo. Oltre il 70% delle esportazioni di prodotti petroliferi russi è andato ai mercati europei e statunitensi.

Secondo il Servizio Federale delle Dogane della Russia, nel 2021, quando i prezzi del petrolio erano in media $ 71 barile, le esportazioni di petrolio greggio e i prodotti petroliferi hanno rappresentato il 37% delle entrate russe da esportazioni, nel febbraio 2022, il prezzo del petrolio russo era in media di $ 92 barile. Possiamo immaginare l’effetto di questo dato sulle entrate russe!

Storicamente, l’infrastruttura petrolifera russa è stata costruita per servire i mercati europei, in particolare attraverso l’oleodotto Druzhba, che alimenta direttamente sei raffinerie nell’UE. Ma dal 2009 (quando è stata completata la prima fase dell’oleodotto ESPO-1), la Russia ha sviluppato rotte di esportazione verso i mercati asiatici e direttamente in Cina.

L’UE: il secondo importatore mondiale di petrolio

Nel 2020, secondo Eurostat, l’UE ha importato 9,3 mb / d di petrolio greggio e 5,6 mb / d di prodotti petroliferi raffinati. Circa 8 mb/g di prodotti importati o raffinati a livello nazionale vengono utilizzati per il trasporto (diesel, benzina, cherosene), circa 3,5 mb/d per il riscaldamento (gasolio, olio combustibile) e 2 mb/d come materia prima dell’industria chimica (nafta, GPL). Alcuni di questi combustibili vengono riesportati in mercati come gli Stati Uniti e la Svizzera.

Nel novembre 2021, la Russia rappresentava poco meno del 30% delle importazioni di petrolio greggio dell’UE e poco più del 15% dei prodotti petroliferi. In caso di interruzione delle forniture russe, l’UE sarebbe vulnerabile per carenza di diesel, nafta e olio combustibile.

Nel 2021, le importazioni totali di petrolio dell’UE ammontavano a 15 mb/g, di cui 3,5 mb/g provenivano dalla Russia, con un conseguente flusso di 88 miliardi di euro dall’UE e dal Regno Unito verso la Russia.

Approvvigionamento globale aggregato di petrolio

Se il commercio di petrolio UE-Russia si fermasse, circa 3 mb/g di offerta di greggio russo e circa 1 mb/g di prodotti petroliferi verrebbero messi offline, costituendo un grave shock dell’offerta globale, e non è chiaro se i fornitori sarebbero in grado o disposti a compensare il deficit, questo per motivi strutturali di domanda-offerta che analizzeremo in un successivo articolo.

Ricordiamo che i membri dell’OPEC hanno attualmente un accordo con la Russia, mentre i partner dell’Asia centrale, noti come OPEC +, hanno concordato di limitare la crescita dell’offerta a 0,4 mb / d al mese. Finché questi non aumenteranno la produzione, gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno affrontare delle serie difficoltà ad esercitare una pressione politica sulla Russia.

In ogni caso, i membri dell’OPEC sembrano lottare per raggiungere i propri obiettivi di produzione. A dicembre 2021, la produzione è aumentata di 0,25 mb/g rispetto all’obiettivo di 0,4 mb/g. La situazione è recentemente peggiorata con la perdita di capacità di 0,3 mb / g da parte della Libia.

La produzione statunitense è scesa di circa 3 mb / g all’inizio della pandemia e ha gradualmente recuperato circa la metà di questo valore.

Infine, i membri dell’OCSE detengono riserve strategiche di petrolio per 1,5 miliardi di barili. Questa offerta potrebbe compensare le esportazioni russe a rischio per circa un anno. Pertanto, un embargo immediato sul petrolio russo può essere parzialmente mitigato attingendo lentamente alle scorte strategiche. All’interno dell’UE, la direttiva sulle scorte petrolifere (2009/119/CE) impone ai Paesi di mantenere scorte di emergenza di petrolio greggio e/o prodotti petroliferi pari ad almeno 90 giorni di importazioni nette o 61 giorni di consumo, a seconda di quale sia il più alto.

L’Europa può sostituire le importazioni di petrolio dalla Russia?

Il fatto che gran parte delle importazioni di petrolio greggio in Europa avvenga via nave piuttosto che tramite oleodotto significa che, in linea di principio, sostituire il petrolio russo sarà più facile che sostituire il gas russo. Tuttavia, dovrebbero essere considerati alcuni problemi fondamentali.

Prima di tutto le infrastrutture petrolifere intraeuropee: se le forniture di petrolio russo si fermano, sarà difficile reindirizzare il petrolio greggio e i prodotti petroliferi all’interno dell’UE. L’infrastruttura è progettata per flussi da est a ovest e lo spostamento di petrolio greggio e prodotti verso est potrebbe comportare movimenti anomali di greggio, anche se tramite ferrovia, camion e chiatta fluviale.

Poi abbiamo il problema delle raffinerie, alcune di queste sono ottimizzate per utilizzare petrolio russo e saranno meno efficienti se lavoreranno con una diversa qualità di greggio. Il greggio iracheno e iraniano si avvicina di più al greggio russo. Particolarmente vulnerabili sono sei grandi raffinerie lungo il gasdotto Druzhba (in Polonia, Germania, Cechia, Austria, Ungheria e Slovacchia). Nel 2019, queste raffinerie sono state sottoposte a uno stress test in quanto i flussi sono stati interrotti a causa della contaminazione del petrolio. Hanno superato il test utilizzando riserve strategiche di greggio immagazzinato in loco. Ma queste interruzioni sono durate solo due mesi. Se non è possibile alimentare queste raffinerie, la riduzione dovrà essere assorbita in raffinerie alternative, per soddisfare la domanda del prodotto finale. Mentre le raffinerie portuali sono ancora vulnerabili a un calo da parte di un fornitore così grande, in genere sono in una posizione migliore per accettare consegne da nuovi fornitori.

Ancora, sostituzione dei prodotti raffinati russi. Oltre all’approvvigionamento di petrolio greggio, l’UE deve anche prendere in considerazione la sostituzione dei prodotti raffinati, quali diesel, nafta e olio combustibile. Le raffinerie europee potrebbero cercare di compensare questo problema aumentando la loro produttività. Per sostituire la perdita di approvvigionamento di diesel russo, ad esempio, le raffinerie europee dovrebbero aumentare l’impegno degli impianti di circa 10 punti percentuali, portandolo a quasi al 90% della capacità totale, pari a 15-16 mb / g. Sarebbe il più alto tasso di utilizzo di questo secolo.

Riduzione della domanda di petrolio

Poiché sarà difficile per l’Europa sostituire completamente, e in modo tempestivo, il petrolio greggio e i prodotti petroliferi russi, i governi dovranno incoraggiare la riduzione della domanda, e mi chiedo se questo non sia voluto da tempo. Viene subito in mente tutta la narrazione sul Great Reset e i paventati disastri ambientali incombenti, ma anche di questo ne parleremo in un altro articolo.

La UE potrebbe attuare rapidamente piani coordinati per ridurre la domanda, ad esempio aumentando il costo dell’energia per i cittadini (tanto paghiamo sempre noi cittadini) oppure attuando dei razionamenti (tanto al buio ci restiamo noi cittadini). Ancora una volta, come non pensare ad una strategia di attuazione del Great Reset?

Alcune misure sono già state suggerite per limitare la domanda di petrolio, soprattutto nel settore dei trasporti. Le misure che dovrebbero essere prese in considerazione includono l’incoraggiamento al trasporto pubblico, attraverso, ad esempio, il servizio gratuito nei fine settimana. Peccato che la popolazione sia sottoposta a ricatto del famigerato “Green Pass” per poter usufruire dei mezzi pubblici!

Inoltre si vorrebbero promuovere campagne per incoraggiare il car sharing. Come si suggerisce dalle parti di Davos? “Non avrai più nulla e sarai felice”.

Non avrai nulla e sarai felice - Inchiostronero

Nel caso in cui le misure falliscano, potrebbero essere necessarie soluzioni più severe, come restrizioni sull’acquisto di carburanti. In fondo il “Green Pass” potrebbe servire anche a questo, altrimenti perché chiamarlo Green?

Carbone

A livello globale, i principali esportatori di carbone sono Indonesia, Australia, Russia, Colombia, Sud Africa e Stati Uniti. Dal lato della domanda, la Cina è di gran lunga il principale importatore, seguita da India, Giappone, Europa e altri paesi dell’area Asia-Pacifico.

Con i prezzi del gas in una spirale inflazionistica, anche il prezzo del carbone è aumentato, quadruplicando in un anno. Il carbone e il gas sono concorrenti nel mercato dell’elettricità in quanto entrambi colmano quello che è noto come il “divario termico”.

Il mercato dell’UE

L’UE ha gradualmente ridotto il consumo di combustibili fossili solidi, passando da 1.200 a 427 milioni di tonnellate (MT) nell’arco di tre decenni (1990-2020). Il processo di riduzione, però, ha riguardato principalmente la quota di produzione interna, di conseguenza, le importazioni sono diventate più significative passando dal 30% a oltre il 60% del consumo interno, sollevando interrogativi sulla disponibilità di carbon fossile per l’UE in caso di embargo energetico sulla Russia.

La Russia ha svolto un ruolo importante nel colmare il divario tra il consumo di carbon fossile dell’UE e la sua produzione interna, con le con le esportazioni verso la Ue che sono passate da 8 milioni di tonnellate (7% delle importazioni totali dell’UE) nel 1990 a 43 milioni tonnellate (54%) nel 2020.

È importante distinguere tra carbone termico, noto anche come “carbone a vapore”, che viene utilizzato per generare elettricità, e carbone metallurgico utilizzato nella produzione di ferro e acciaio. Il carbone metallurgico russo rappresenta tra il 20 e il 30 per cento delle importazioni di carbone dell’UE, mentre quello di carbone termico è quasi del 70 per cento. La Germania e la Polonia dipendono in particolar modo dal carbone termico proveniente dalla Russia.

Fa quasi sorridere, se non fosse tragico, vedere i “lungimiranti” politici “NON ELETTI della UE” affannarsi per sostituire il gas con il carbone, dopo che per decenni ci hanno infranto le gonadi con i lagnosi piagnistei dei Gretini made in UE sui pestiferi effetti del carbone sul riscaldamento terrestre.

Diversificare e aumentare l’offerta di carbone dell’UE

Sebbene le importazioni russe costituiscano una quota significativa del carbone termico consumato nell’UE, ci sono segnali da parte dell’industria che tali importazioni potrebbero essere sostituite in tempi relativamente brevi. Bisognerà vedere però a che prezzo e a quali condizioni geopolitiche. Come sempre questo appare come una presa di posizione che tende a favorire alcuni produttori a scapito di altri. Bisognerebbe indagare sulla commistione tra esponenti dei vari governi e multinazionali dell’energia.

Dal punto di vista politico, si dovranno implementare forti campagne di propaganda per far digerire ai cittadini i maggiori oneri imposti dal nuovo assetto di forniture energetiche.

Inoltre, per consentire l’uso di tipi di carbone alternativamente disponibili, si dovrebbe valutare la possibilità di allentare alcune norme ambientali, un pò come accade per le regole di bilancio in area UE, che vengono “aggiustate” in base a convenienze politiche di Germania e Francia,

Ad esempio per il 2022 la US Energy Information Administration (EIA) ha previsto che la produzione di carbone degli Stati Uniti aumenterà di oltre il 4%, mentre il consumo interno è destinato a diminuire. L’EIA si aspetta che ciò sostenga le esportazioni, contribuendo al contempo a ricostituire le scorte di carbone nelle centrali elettriche.

Quindi questa rimodulazione dell’approvvigionamento di carbone porterà ad una minore offerta e ad una logistica più complessa. Aumenterà il costo delle importazioni di carbone e ciò potrebbe comportare delle temporanee interruzioni locali.

Tutto in linea con le direttive che piovono da Davos? Non sappiamo la risposta … ma la domanda sorge spontanea…

che fine ha fatto antonio lubrano? È pronto al ritorno in tv con le canzoni  napoletane - Dagospia
Antonio Lubrano giornalista

Conclusioni

Fermare le importazioni di gas russo sarà difficile e costoso per i cittadini, ma ancora peggio sarà per l’UE gestire una completa interruzione delle importazioni russe di petrolio e carbone. Un arresto europeo delle forniture russe di petrolio e carbone avrà un impatto doloroso con prezzi più alti, che cadranno soprattutto sulle piccole imprese italiane che rischieranno, così, di essere spazzate via dal mercato. Ma ancora una volta, visto che Mario Draghi auspica una “distruzione creativa” dell’economia con l’eliminazione delle piccole imprese a favore delle corporation, tutto questo potrebbe essere un effetto voluto?

CUI PRODEST?

Alcuni analisti auspicano un “Patto energetico transatlantico” tra l’Europa e gli Stati Uniti i per far fronte alle perdite delle importazioni russe. Ma, in ogni caso, uno stop alle importazioni di petrolio dalla Russia implicherà un aumento dei prezzi del petrolio per i cittadini dell’Europa. Teniamolo bene a mente!

Per quanto riguarda il carbone, il trasferimento dell’approvvigionamento delle forniture europee dalla Russia verso altri Paesi, porterà a prezzi globali del carbone più elevati, ancora una volta con significativi effetti sulle economie. Anche le questioni logistiche devono essere risolte. E’ di fondamentale importanza che l’Europa acquisti rapidamente più carbone e ricostituisca le sue scorte, in particolare, a causa del suo potenziale aumento di consumo nelle centrali elettriche.

Mentre l’Europa attraverserà un doloroso periodo, qualcuno si arricchirà a sue spese e se anche il clima ne verrà danneggiato vorrà dire che le “Grete” dovranno farsene una ragione. Affari e geopolitica hanno sempre la priorità!

Ma tutto questo è veramente voluto dai cittadini europei?

Cos’è il sistema SWIFT

In questi giorni si parla molto di escludere le banche Russe dal sistema SWIFT.

SWIFT Full Form - javatpoint

In questo articolo spiegheremo cos’è e perché la minaccia potrebbe essere più propagandistica che effettiva.

Gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Regno Unito e il Canada hanno dichiarato sabato scorso, in una dichiarazione congiunta, che avrebbero disconnesso le banche russe “selezionate” dal sistema SWIFT per punire la Russia, rea di avere invaso l’Ucraina.

Le potenze occidentali hanno affermato che questa disconnessione porterebbe un grave danno alle banche in quanto verrebbe ridotta la loro capacità di operare a livello globale.

Anche i giornalisti mainstream hanno rilanciato, amplificando, il programma pensato per punire la Russia, altri politici, invece, mettono in guardia dall’attuare questo passo, considerandolo un’arma a doppio taglio.

Ma prima di tutto conosciamo lo SWIFT.

 Questo è l’acronimo di Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication, una rete globale per i pagamenti tra banche.

 È una specie di gigantesco sistema di messaggistica.

Circa 11.000 banche, in quasi tutti i Paesi del mondo, utilizzano il sistema SWIFT per facilitare i trasferimenti di denaro da un Paese ad un altro. Il sistema elabora circa 42 milioni di transazioni al giorno. SWIFT non sposta il denaro. Ciò che fa è consentire alle banche di scambiarsi istruzioni su come trasferire fondi oltre confine.

Il sistema SWIFT è gestito dal Belgio, sotto la direzione di due dozzine di banche centrali nazionali, tra cui la Federal Reserve statunitense e la Banca Centrale Europea. Il suo consiglio di amministrazione di 25 membri ha attualmente un rappresentante russo. Ma gli americani sono il Paese membro più influente.

Se la Russia venisse espulsa da questo circuito sarebbe quasi impossibile per i russi e le aziende russe effettuare transazioni con banche o società di altri Paesi.

L’ex ministro delle finanze Alexei Kudrin una volta ha stimato che la perdita dell’accesso a SWIFT da solo causerebbe una contrazione del PIL russo del 5%. Fondamentalmente, la perdita dell’accesso SWIFT potrebbe complicare la capacità della Russia ad accettare i pagamenti per le spedizioni di gas naturale in Europa.

Aleksej Kudrin - Wikipedia
Alexei Kudrin

Praticamente da un giorno all’altro, il Cremlino perderebbe il suo più grande consumatore di gas ma, dall’altra parte, gli europei perderebbero la loro più grande fonte di importazione di energia.

La domanda è: Vladimir Putin ha un’alternativa? Sì, più o meno. La Russia ha un proprio sistema di pagamenti elettronici finanziari chiamato SFPS. Il problema è che l’SFPS non è sviluppato come lo SWIFT.

Vladimir Putin "malato terminale. Cancro all'intestino, ecco le prove": la  bomba dagli Usa – Libero Quotidiano
Vladimir Putin

La disconnessione di un intero paese da SWIFT è considerata una delle peggiori sanzioni economiche.

Ma anche un’azione limitata solo ad alcune banche può avere un grande impatto. Qualsiasi banca disconnessa da SWIFT avrà difficoltà a inviare denaro ad altri istituti finanziari e i suoi clienti avranno difficoltà a condurre la propria attività.

Comunque una mossa così drammatica danneggerebbe anche l’Occidente, per il semplice fatto che si interromperebbero le spedizioni di petrolio, gas e metalli.

Come ha anche affermato di recente Nikolai Zhuravlev: “Se la Russia viene disconnessa da SWIFT, non riceveremo valuta [straniera], ma gli acquirenti, in primo luogo i paesi europei, non riceveranno le nostre merci: petrolio, gas, metalli e altri componenti importanti.

Questo aiuta a spiegare perché l’Occidente si sta muovendo per scollegare solo alcune banche.

A seconda di quante e quali banche saranno prese di mira si determinerà in definitiva l’impatto economico delle sanzioni, sia per la Russia che per i Paesi con cui opera, Italia in primis.

Ora dobbiamo porci la domanda fondamentale: “cui prodest”,  chi trae un vantaggio da questa situazione? Chi ne subirà le peggiori conseguenze? La Russia certamente non subirà passivamente ma predisporrà delle contromisure.

Ne parleremo in un prossimo articolo stay tuned

La IEA (International Energy Agency) ha ridotto la previsione della domanda di petrolio citando la riduzione dei viaggi aerei.

La IEA (International Energy Agency) ha tagliato le previsioni sulla domanda di petrolio per il 2020, avvertendo che la riduzione dei viaggi aerei dovuta alla pandemia di coronavirus, quest’anno, avrebbe fatto diminuire la domanda globale di petrolio di 8,1 milioni di bbl/d.

“La domanda di carburante per jet rimane la principale fonte di debolezza”, ha detto la IEA nel suo rapporto mensile.

“In aprile il numero di chilometri percorsi dall’aviazione è sceso di quasi l’80% rispetto all’anno scorso e a luglio il deficit era ancora del 67% … I settori dell’aviazione e del trasporto stradale, entrambi componenti essenziali del consumo di petrolio, continuano ad avere problemi”.

I danni alla domanda causati dai minori spostamenti transfrontalieri sono stati in qualche modo mitigati dalla ripresa dell’industria e dell’e-commerce che sostiene gli autotrasporti, ma la IEA prevede che il consumo di petrolio nel 2021 sarà ancora leggermente inferiore a quello del 2019.

I dati citati dalla IEA indicano che la mobilità in molte regioni ha raggiunto uno stato stazionario, ma è in aumento in Europa, anche se un aumento dei casi COVID-19 ha portato l’agenzia a ridurre le stime della domanda di benzina.

L’agenzia ha affermato che mentre l’offerta ha superato la domanda a giugno, l’incertezza sulla domanda futura, insieme all’aumento della produzione da parte dei principali produttori, è un segnale che il riequilibrio dei mercati petroliferi sarà “fragile”.

Mentre negli Stati Uniti, in Canada e in Brasile la produzione di petrolio si stava riprendendo mentre i produttori dell’OPEC e gli alleati come la Russia, un gruppo chiamato OPEC+, stavano allentando i tagli alla produzione.

            Alla luce di queste dichiarazioni della IEA gli investitori interessati ad operare nel settore energetico devono continuare ad osservare la massima prudenza.

               Un ulteriore aumento dei casi COVID-19 potrebbe ridurre fortemente la domanda di energia.               

Gli investitori sono avvertiti.

MES? No, grazie! – 2° parte

Ma conviene utilizzare il MES? Sì, perché ha l’enorme potenza di fuoco di 400 miliardi di euro. Come ripete il mainstream.

Ma è proprio vero tutto questo?

Attualmente il MES ha una dotazione di capitale versato dagli Stati aderenti al trattato di circa 80 miliardi di euro. L’Italia ha contribuito con 14 miliardi.

Come è ottenibile il raggiungimento dei 320 miliardi mancanti? Un esempio, il ricorso ad emissione di obbligazioni da collocare nei mercati finanziari.

Purtroppo la concretizzazione di questo metodo, data l’entità dell’importo, necessiterebbe di molto tempo. Troppo.

Una via più breve potrebbe realizzarsi attraverso l’emissione di obbligazioni da parte del MES e loro successivo acquisto diretto da parte della BCE.

Ma dato che la BCE ha dichiarato di essere disposta ad acquistare i titoli emessi dagli Stati membri in base al cosiddetto piano PEPP, ovvero al Piano Acquisto per Emergenza Pandemica.… la domanda sorge spontanea (come direbbe un famoso presentatore): perché dobbiamo prendere soldi in prestito dal MES che si fa a sua volta finanziare dalla BCE?

Si vuole spingere verso il MES dichiarando che in questo caso specifico (crisi Covid-19) non saranno applicare condizionalità. Ma siamo sicuri di questo?

Per rispondere a questa domanda analizziamo gli articoli  3 e 12 del trattato sul MES.

Art. 3: L’obiettivo del MES è quello di mobilizzare risorse finanziarie e fornire un sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES che già si trovino o rischino di trovarsi in gravi problemi finanziari, se indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e quella dei suoi Stati membri. A questo scopo è conferito al MES il potere di raccogliere fondi con l’emissione di strumenti finanziari o la conclusione di intese o accordi finanziari o di altro tipo con i propri membri, istituzioni finanziarie o terzi.

Art. 12: Ove indispensabile per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro nel suo complesso e dei suoi Stati membri, il MES può fornire a un proprio membro un sostegno alla stabilità, sulla base di condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto. Tali condizioni possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni di ammissibilità predefinite.

E’ chiaro quindi, da questi articoli, che le “condizioni rigorose” sono insite nel trattato.

Ma se ci è stato detto 1) che non verranno applicate le regole del trattato sul patto di stabilità 2) che la BCE ha acconsentito ad acquistare obbligazioni emesse direttamente dagli Stati. Ancora una volta ….la domanda sorge spontanea: ma, con queste possibilità a disposizione, l’Italia ha veramente “gravi problemi finanziari”?

Perché dovremmo entrare in questo “perverso” meccanismo, che ci sottoporrà comunque alla Troika, come abbiamo visto, a dispetto di qualunque altra cosa ci vogliono far credere?

Dobbiamo tenere presente che i prestiti del MES sono crediti privilegiati, quindi verranno rimborsati prima degli altri. Questo inevitabilmente metterà in allarme i futuri investitori che vorranno acquistare titoli dello Stato, con il conseguente andamento negativo dei tassi d’interesse.

Viene da chiedersi del perché alcune forze politiche abbiano richiesto con tanto accanimento il ricorso al MES.

Vale la pena ricordare che la legge 234 del 2012 pone cautele specifiche quando vi siano modifiche o nuovi accordi che prevedono conseguenze rilevanti per la finanza nazionale, come chiaramente esplicato nell’articolo 5, riportato di seguito:

Art 5 Consultazione delle Camere su accordi in materia finanziaria o monetaria

1. Il Governo informa tempestivamente le Camere di ogni iniziativa volta alla conclusione di accordi tra gli Stati membri dell’Unione europea che prevedano l’introduzione o il rafforzamento di regole in materia finanziaria o monetaria o comunque producano conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica.

2. Il Governo assicura che la posizione rappresentata dall’Italia nella fase di negoziazione degli accordi di cui al comma 1 tenga conto degli atti di indirizzo adottati dalle Camere. Nel caso in cui il Governo non abbia potuto conformarsi agli atti di indirizzo, il Presidente del Consiglio dei Ministri o un Ministro da lui delegato riferisce tempestivamente alle Camere, fornendo le appropriate motivazioni della posizione assunta.

3. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano anche nel caso di accordi conclusi al di fuori delle disposizioni del Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea nonche’ in caso di modifica di precedenti accordi.

Ed è innegabile che il ricorso al MES produca conseguenze rilevanti sulla finanza pubblica!

Il governo ha rilasciato dichiarazioni ad autorevoli testate giornalistiche sul MES senza avere avuto preventivi indirizzi da parte del Parlamento. Infatti ad oggi ci stiamo ancora chiedendo come si esprimerebbero alcune forze politiche della maggioranza.

Quindi in base alla normativa, qualunque ricorso al MES dovrebbe essere preceduto necessariamente da indicazioni parlamentari.

Ricapitolando e per concludere: il MES ad oggi ha una dotazione di capitale di circa 80 miliardi di euro, per arrivare ai famosi 400 occorre che il MES stesso emetta obbligazioni e che queste, per fare presto, debbano essere acquistate dalla BCE.

Non ci saranno condizionalità? Ma ad oggi il trattato parla chiaro e, visto che non è stato modificato, le regole rimangono quelle.

A mio parere prima si provvede alle modifiche del trattato poi si entra nell’accordo. Condizioni chiare oggi per non essere ricattati domani!

Mes? No, grazie!

L’Italia ha contribuito al Mes, o Meccanismo Europeo di Stabilità, e ad altri fondi, come l’ESFS, per circa 60 miliardi di Euro attraverso le tasse pagate dai suoi cittadini.

Il Mes fu pensato, inizialmente, proprio per i Paesi che avevano perso l’accesso ai mercati finanziari e quindi avevano necessità di un prestito ponte finché non si fosse ripristinata la fiducia degli stessi mercati nei loro confronti per poter avere di nuovo accesso al credito.

Ora, se alti esponenti di un qualunque governo solo accennassero alla necessità di un ricorso al Mes, sotto qualsiasi forma, dalla semplice dichiarazione sui media ad affermazioni rilasciate in sede di intervista su giornali specializzati, darebbero un pessimo segnale ai mercati, i quali recepirebbero la difficoltà di quel Paese. L’immediata e probabile conseguenza potrebbe essere un aumento dei tassi d’interesse richiesto da parte dei mercati finanziari, giustificato da un percepito aumento di rischio, e quindi un aumento dello spread. D’altronde voi prestereste denaro a chi dichiara di avere difficoltà economiche?

Ma ricorrere effettivamente al Mes comporta anche un’altra serie di problemi legati alle cosiddette condizionalità.

Il Paese che ricorre al Mes verrà sottoposto ad un memorandum con la conseguenza di un controllo diretto da parte della cosiddetta Troika, formata dalla Commissione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale e dalla BCE.

Ma cosa potrebbe comprendere questo famoso memorandum? ad esempio tagli alla spesa Pubblica, privatizzazioni e riforma del mercato del lavoro, ma non per renderlo un diritto più sicuro, bensì per dargli maggiore flessibilità, tradotto “precarizzazione del lavoro”!

Sui tagli alla spesa pubblica la Grecia ha fatto scuola!

La Grecia ha visto scomparire il suo Servizio Sanitario Nazionale fino a non avere più fondi neanche per la fornitura di medicinali e cure ai malati oncologici! Per non citare l’occultamento del dato sull’aumento della mortalità infantile!

Di fatto, quindi, il Mes, questo meccanismo salvastati, non sarebbe altro che un modo per riavere indietro, in prestito, denaro proprio, versato dallo Stato richiedente in tempi precedenti attraverso sacrifici e tagli, da restituire maggiorato da interessi passivi, con condizionalità sul suo utilizzo, innanzitutto, e in secondo luogo, ma non d’importanza, accettando condizioni di controllo dalla su citata Troika! Si è mai visto un “meccanismo” più perverso? Neanche un pazzo!!