Materie prime ed economia globale

L’offerta globale di materie prime alimentari ed energetiche chiave sta iniziando ad avere un impatto sull’economia globale, e a questo vanno aggiunti anche l’aumento dell’inflazione core e la politica aggressiva delle Banche centrali, che potrebbero avere un ulteriore impatto sulla crescita economica.

L’indice globale dei prezzi di tutte le materie prime è più che raddoppiato dal suo minimo pandemico nel secondo trimestre del 2020.

iNDICE PREZZO GLOBALE DELLE MATERIE PRIME

Le imprese e i consumatori stanno già sentendo l’impatto del rally dei prezzi delle materie prime, e questo va dal petrolio greggio ai cereali fino ai metalli. I mercati delle materie prime stanno complicando le prospettive di crescita economica comportando un aumento dei prezzi di prodotti alimentari e dell’energia per i consumatori a livello globale.  L’impennata delle materie prime, tra cui petrolio greggio, gas naturale, grano, soia e metalli industriali e preziosi, ha già colpito i prezzi al consumo, con l’inflazione che ha raggiunto i massimi da 40 anni. Tutto ciò ha spinto la FED a iniziare ad aumentare i tassi di interesse per domare l’inflazione, prevedendo ulteriori rialzi nei prossimi mesi.

La Federal Reserve è il massimo investitore mondiale- The Cryptonomist
Federal Reserve

Teniamo presente che, a livello globale, l’offerta di materie prime di ogni tipo è inferiore alla domanda, con le scorte di energia, agricoltura e metalli criticamente basse ovunque. L’effetto di questo sarà che i prezzi rimarranno elevati fino alla fine del prossimo anno. 

L’offerta di materie prime potrebbe scendere ancora di più se la guerra Russo Ucraina interrompesse materialmente le esportazioni di prodotti energetici dalla Russia e/o le esportazioni di grano e mais dall’Ucraina, che ricordiamo è uno dei principali esportatori mondiali di mais, grano e oli vegetali. La riduzione delle esportazioni di materie prime agricole ucraine potrebbe aumentare l’insicurezza alimentare in molti paesi dell’Asia meridionale, dell’Asia occidentale e dell’Africa, portando ad un possibile aumento dei flussi migratori.

Secondo i dati ONU, negli ultimi tre anni la Russia e l’Ucraina insieme hanno rappresentato rispettivamente circa il 30% e il 20% delle esportazioni globali di grano e mais. La FAO da parte sua ha puntualizzato l’effetto sui prezzi alimentari che hanno registrato una media di 159,3 punti a marzo, in crescita del 12,6% rispetto a febbraio.

Anche per il prossimo anno abbiamo ulteriori aspettative di riduzione dell’offerta, causate dalle interruzioni delle forniture dall’Ucraina nonché dall’aumento del costo del carburante e dei fertilizzanti.

Mercati futures oil & gas e gli speculatori

La guerra in Ucraina e le sanzioni sempre più dure contro la Russia hanno interrotto molteplici canali di approvvigionamento del petrolio greggio e del gas.

Le turbolenze del mercato delle materie prime e la sua estrema volatilità hanno comportato un aumento significativo dei margini iniziali portando a un esodo di speculatori dai futures del petrolio. La minore liquidità nel mercato petrolifero ha esacerbato la volatilità al punto che alcuni trader hanno affermato a marzo che “il mercato non è tradabile“.

Gli elevati requisiti di margine hanno aumentato le esigenze di liquidità delle società di trading di materie prime, che commerciano barili fisici in tutto il mondo. Attraverso contratti futures su materie prime, le trading houses si proteggono dai rischi. Senza i derivati sulle materie prime, molti trader non sarebbero in grado di spostare volumi fisici di petrolio.   

Abbiamo bisogno di un mercato dei futures sulle materie prime pienamente funzionante e ciò che abbiamo osservato è una diminuzione dell’open interest. Secondo quanto dichiarato dal CFO di Trafigura, al FT Commodities Global Summit il mese scorso, supponendo che la situazione non si normalizzi, ci saranno conseguenze negative sul mercato dei futures divenuto inefficiente nel mercato fisico.

Anche se la pace verrà raggiunta in Ucraina, è probabile che i mercati continueranno a scontare i rischi politici per materie prime come petrolio, grano, mais, nichel e palladio, con i prezzi del petrolio che potrebbero rimarranno elevati per anni.

Implicazioni economiche e politiche nel pagamento del gas in rubli

A marzo il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che la Russia, nei pagamenti per le forniture di gas naturale agli acquirenti provenienti da Paesi “ostili”, accetterà solo rubli e non più euro e dollari.

Putin sta facendo progressi, pronto al piano B"

Parlando delle valute occidentali, tradizionalmente utilizzate per pagare il gas russo, le ha definite “compromesse“, aggiungendo che questo è solo l’inizio! 

Secondo Putin, non ha più senso fornire beni a Paesi che hanno congelato le riserve russe in dollari, euro e una serie di altre valute facendo così perdere a queste il loro valore di mercato. 

I fornitori nazionali dovranno rinegoziare i contratti entro il 31 marzo. “Il cambiamento nella procedura per i pagamenti è dovuto al fatto che, in violazione delle norme del diritto internazionale, le riserve valutarie della Banca di Russia sono state congelate dagli Stati membri dell’UE”, afferma il messaggio sul sito web del Cremlino. “È stato osservato che la decisione non dovrebbe portare a un deterioramento delle condizioni contrattuali per le società europee che importano gas russo”, ha aggiunto il Cremlino.

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Banca Centrale di Russia

Il vice primo ministro Alexander Novak ha concordato sull’inaffidabilità di vendere  petrolio in cambio di dollari ed euro. La Russia ha offerto ai paesi dell’UE di aprire un conto in rubli nelle banche russe per pagare il gas. 

Alexander Novak ministro russo positivo - IlTarantino.it
Alexander Novak

A queste voci si è aggiunta anche quella del presidente della Federazione Russa Dmitry Peskov. “Le aziende devono comprendere le mutate condizioni del mercato e l’ambiente completamente mutato che è sorto nelle condizioni della guerra economica condotta contro la Russia”, ha spiegato il portavoce del Cremlino.

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Dmitry Peskov

Secondo Peskov, le compagnie straniere “dovrebbero capire che con la loro valuta, euro o dollari, devono solo comprare rubli e pagare il gas con i rubli”, quindi, di fatto, la situazione è pressoché invariata. Allo stesso tempo, i dettagli dell’ordine presidenziale di cambiare la valuta dei pagamenti saranno calcolati in modo che il sistema sia semplice, comprensibile, trasparente e fattibile per gli acquirenti europei e di altro tipo, ha osservato.

Il portavoce ha aggiunto che la Russia è sempre stata e rimane un fornitore affidabile di risorse energetiche. “La Russia è interessata a vendere il suo gas. Siamo sicuri di avere il miglior gas in offerta sul mercato in termini di ritmo delle consegne, in termini di prezzo e in termini di affidabilità. Non esiste gas migliore di quello russo, tutte le altre opzioni sono peggiori. Questa è la realtà”, ha sottolineato Peskov, sembrando così un addetto al marketing! E’ sottinteso, secondo i portavoce, che la Russia non fornirà gas gratuitamente se l’Unione europea si rifiuta di pagarlo in rubli.

L’Unione Europea, è ovviamente contraria alla decisione del Cremlino, ma c’è il rischio di rimanere senza gas se la proposta russa, che di fatto è un ultimatum, verrà respinta. Il presidente russo ha comunque affermato che gli altri termini dei contratti non saranno rivisti. Ciò significa che la fornitura dei beni rimarrà esattamente la stessa di prima in termini di prezzi e di modalità. 

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Secondo la nuova procedura indicata dal Cremlino, per pagare il gas le società straniere, che in precedenza si accordavano direttamente con Gazprom in dollari ed euro, ora dovranno aprire un doppio conto corrente presso la Banca Gazprom in cui, nel primo pagheranno in euro o dollari e nel secondo si preoccuperà la Banca stessa a girare gli importi convertendoli nel contempo in rubli.

Gazprombank - Dago fotogallery
Gazprombank

Anche se il modo più semplice sarebbe stato quello di acquistare rubli dalla Banca Centrale di Russia direttamente dagli stessi importatori, ma la UE ha posto questa banca sotto sanzioni, sanzioni che, chiaramente, colpiscono negativamente gli europei stessi.

 L’ultimatum russo “pagare il gas in rubli” è una questione di principio per il Cremlino, poiché metà delle riserve auree e valutarie della sua Banca Centrale sono state congelate. Si tratta di circa 300 miliardi di dollari. Questo ultimatum è un messaggio preciso per l’Europa, che significa: “Se rimuovi le sanzioni alla Banca centrale, vivrai più facilmente”

….oppure muori e fai morire.

Gazprom provvederà a inviare una bozza di accordo supplementare a tutte le sue controparti. Sono state apportate modifiche alla clausola del contratto che specifica la valuta in cui verranno effettuati i pagamenti per il gas fornito. E se le compagnie firmeranno questo accordo aggiuntivo, riconosceranno la loro dipendenza dal gas russo. In effetti, leggendo tra le righe, l’ultimatum russo è: “O passiamo ai pagamenti in rubli, o non vendiamo gas a voi”.

Per molti Paesi europei sta emergendo una situazione drammatica: la stagione invernale sta finendo e i depositi di gas sono vuoti. I Paesi europei ora hanno bisogno di comprare molto gas per reintegrare le scorte e prepararsi al prossimo inverno.

Se la Commissione europea, ad esempio, interviene vietando il pagamento del gas in rubli, la Russia può considerarlo come una sanzione e cessare le forniture. 

Ma non solo, la Russia, come contromisura, potrebbe imporre un divieto sulla fornitura di petrolio e carbone, che porterà sicuramente ad una profonda crisi energetica e, a seguire, industriale e sociale.

L’abbandono da parte dell’Europa del gas e del petrolio russi comporterà conseguenze molto gravi per gli stessi europei. Da un lato, questo porterà ad un inevitabile aumento dei prezzi del gas in tutto il mondo. Dall’altro, porterà a interruzioni di energia elettrica in Europa, poiché parte della fornitura di energia elettrica viene prodotta utilizzando il gas. Ciò solleva la domanda: come si preparerà l’Europa per il prossimo inverno senza le forniture energetiche russe? In questo caso l’Europa dovrà fare scorta di carbone, ma la Russia fornirà carbone ai Paesi europei? La Russia è uno dei maggiori fornitori di carbone sul mercato mondiale, secondo solo all’Indonesia e all’Australia in termini di volumi e, a partire dal 2019, la Russia ha coperto il fabbisogno di carbone europeo per ben una quota del 47%.

Quindi, dal punto di vista economico, non solo la Russia stessa soffrirà delle sanzioni, ma anche i Paesi europei. Gli interessi dell’UE soffriranno anche da un punto di vista politico, poiché la guerra economica dichiarata alla Russia rafforzerà ulteriormente la posizione degli Stati Uniti in Europa, aumenterà la dipendenza dei Paesi europei.

L’Italia, da parte sua, ha annunciato l’impossibilità di pagare il gas russo in rubli, di fatto tagliandoci fuori dalla fornitura … e qualcuno ancora li chiama il governo dei migliori …

Draghi ha anche detto di aver ricevuto da Putin una lunga spiegazione su come mantenere i pagamenti in euro, tenendo conto delle intenzioni di Mosca di passare ai rubli.

“Ho appena sentito che poi lo staff tecnico dovrebbe consultarsi su questo tema per capire come avrebbe funzionato. Quello che ho capito è che il trasferimento del pagamento da euro e dollari a rubli è una questione interna della Russia “, ha spiegato molto vagamente. Ma Draghi non era un quotato banchiere delle grandi banche europee?

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La più grande compagnia petrolifera e del gas italiana, Eni, ha annunciato l’impossibilità di pagare il gas russo acquistato in rubli, come richiesto dal presidente russo Vladimir Putin. Le parole del capo dell’Eni, Claudio Descalzi, sono state: “Ci hanno chiesto di pagarlo [gas] in rubli. Non saremo in grado di farlo perché non abbiamo rubli. E questo non è previsto dal contratto, che specifica i pagamenti in euro”, ha detto Descalzi, aggiungendo che i termini del contratto non possono essere modificati unilateralmente.

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Il capo dell’Eni ha anche sottolineato di non essere sicuro delle future forniture di gas dalla Russia, che ora vengono effettuate attraverso il territorio ucraino. L’Europa, secondo Descalzi, purtroppo non ha mai pensato alla propria sicurezza energetica, ma il top manager ha proposto il carburante dei Paesi africani come un’alternativa al gas russo.

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Anche il Giappone, attraverso le dichiarazioni di Novosti Toshihiro Sugiura, ricercatore dell’Institute for Economic Research of North Asia (ERINA),   si è dichiarato contrario al pagamento del gas russo in rubli definendo improbabile che le compagnie occidentali paghino il gas in rubli, poiché questo requisito è una modifica unilaterale del contratto.

Lo specialista giapponese osserva che la richiesta della Russia è una violazione del contratto tra l’esportatore e l’importatore, poiché i cambiamenti di solito vengono raggiunti previo accordo di entrambe le parti e non unilateralmente. “Questa è una decisione politica”, osserva l’esperto. 

Anche in Germania, secondo quanto riferito dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, con riferimento alla conversazione telefonica tenuta con il leader russo mercoledì 30 marzo questo avrebbe ammorbidito le sue richieste nei confronti dei Paesi europei, proponendo lo schema di cui abbiamo parlato con l’intervento della Banca Gazprom, in qualità di cambiavalute.

Scholz “non ha accettato questa procedura ma ha solo richiesto informazioni scritte per comprenderla più accuratamente.” 

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La Gazprombank è la terza in Russia, in termini di attività, e non rientra nel nuovo, quinto pacchetto di sanzioni dell’UE, che è attualmente in fase di sviluppo. Avendo ricevuto euro, potrà convertirli in rubli e trasferire fondi a Gazprom.

L’analista Evgeny Kogan ha osservato che una tale richiesta di Putin viola i contratti conclusi, poiché cambia il livello di rischio calcolato per gli acquirenti. A suo parere, un compromesso su questo tema sembra probabile, ma richiede uno sforzo reciproco, che l’Europa non ha ancora dimostrato.

L’Unione europea ha preso parte alla discussione del gruppo di paesi del G7 sulla questione del pagamento del gas russo in rubli, respingendo l’obbligo di pagare il gas in rubli  e, conseguentemente, le conclusioni dei Paesi del G7 sono valide anche per l’UE. Lo ha affermato durante un briefing il rappresentante ufficiale della Commissione europea, Eric Mamer.

“La nostra posizione è la stessa del G7”, ha detto, commentando l’ordine del presidente russo Vladimir Putin di accettare il pagamento per l’esportazione di gas russo solo in rubli.

Successivamente, i Paesi del G7 hanno esortato le aziende locali a non accettare fatture in rubli per la fornitura di gas russo. L’accordo è stato raggiunto in una riunione straordinaria dei ministri dell’energia di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti.

Commentando il rifiuto del G7 di acquistare gas russo in rubli, il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov ha affermato che la Russia non intende impegnarsi in beneficenza, il suo gas naturale non è gratuito!

Di contro, il Cremlino ha esortato a elaborare la proposta di Volodin di espandere l’elenco delle merci da esportare per rubli includendo, oltre il gas, anche fertilizzanti, grano, petrolio, carbone, metalli, legname e molto altro.    

La motivazione di questa decisione, secondo l’addetto stampa del Presidente della Federazione Russa Dmitry Peskov , è un incipiente indebolimento della posizione del dollaro, come principale valuta mondiale, e la conseguente necessità di passare alla pratica di utilizzo di valute nazionali.

“Questa è un’idea che, naturalmente, dovrebbe essere elaborata, tenendo conto del fatto che ci sono Paesi che mostrano un interesse per i regolamenti reciprocamente in valute nazionali … Dato che, negli ultimi anni, il prestigio del dollaro, come principale valuta di riserva mondiale, è stato scosso e la fiducia in altre valute internazionali non è al più alto livello, l’unica alternativa inevitabile a questi processi sarà quella di espandere la pratica di utilizzare le valute nazionali “, ha detto Peskov ai giornalisti.

Conseguenze alimentari della guerra in Ucraina.

Negli articoli precedenti (qui, qui, e qui)abbiamo approfondito i riflessi economici degli eventuali blocchi alle esportazioni di beni energetici dalla Russia.

Ora approfondiamo l’aspetto legato alla produzione di prodotti agricoli, visto che i divieti di esportazione, i prezzi elevati e l’aumento dei costi di trasporto potrebbero impedire ai Paesi vulnerabili di procurarsi scorte alimentari sufficienti.

L’Ucraina e la Russia sono i principali esportatori di prodotti alimentari. Ognuno di essi fornisce circa il 6% delle quote di mercato globali in beni alimentari. Già nel febbraio 2022, prima dell’invasione russa, i prezzi dei prodotti alimentari erano a un livello record a causa della ripresa della domanda post covid-19. Ma la guerra in Ucraina e le conseguenti sanzioni potrebbero implicare un perdurare dei prezzi elevati dei prodotti alimentari.

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Le materie prime per le quali la Russia e l’Ucraina svolgono i ruoli più importanti sono grano, orzo, mais, semi di girasole e oli di girasole. Le quote russo-ucraine delle esportazioni globali di orzo e grano sono aumentate nel 2021, rispettivamente al 14% e al 10%.

Di contro alcuni Paesi sono estremamente vulnerabili, soprattutto i Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa che dipendono quasi esclusivamente dalle importazioni per il loro consumo di cereali e importano oltre il 10% del loro fabbisogno dall’Ucraina e dalla Russia.

I più a rischio sono Giordania, Yemen, Israele, Libia e Libano. Lo Yemen e il Libano hanno gravi preesistenti problemi di insicurezza alimentare e importano rispettivamente il 31% e il 47% dei loro cereali dall’Ucraina e dalla Russia.

Alcuni Paesi europei e dell’Asia centrale, anche se con una maggiore quota di produzione cerealicola nazionale, si affidano completamente all’Ucraina e alla Russia per i cereali che importano. Questi includono Armenia (92% delle importazioni dai due Paesi), Georgia (85%) e Azerbaigian (77%).

Anche un certo numero di paesi dell’Africa sub-sahariana sono vulnerabili perché, sebbene dipendano dall’Ucraina e dalla Russia solo in misura limitata per i cereali, hanno poca capacità economica di adattarsi all’aumento dei prezzi e alle interruzioni dell’approvvigionamento. Questi includono soprattutto il Sudan e il Congo.

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Oli vegetali.

Russia e Ucraina rappresentano congiuntamente il 57% delle esportazioni globali di olio di girasole. I prezzi dell’olio vegetale erano già ai massimi storici nel febbraio 2022. Questi prezzi sono stati il principale motore dell’inflazione alimentare dalla fine del 2021. L’elevato prezzo di questi prodotti, che sono usati nella maggior parte delle trasformazioni alimentari, è il risultato di una combinazione di maltempo, cattivo raccolto e aumento dei prezzi dell’energia. La guerra sarà un’ulteriore causa di aumento dei prezzi degli oli vegetali, data l’importanza nella regione Ucraina della produzione di olio di girasole. Tra il 35% e il 40% dell’olio di girasole dell’UE proviene proprio dall’Ucraina.

L’invasione avrà anche un impatto sull’approvvigionamento alimentare attraverso la fornitura di fertilizzanti.

I prezzi dei fertilizzanti erano già in aumento prima della guerra, raggiungendo livelli mai visti dalla crisi finanziaria globale. L’impennata dei prezzi è dovuta principalmente all’aumento dei prezzi del gas, che ha frenato la produzione di importanti componenti nella fabbricazione di fertilizzanti, come l’ammoniaca.

La Russia e la Bielorussia sono rispettivamente il primo e il sesto maggiore esportatore mondiale di fertilizzanti, rappresentando un totale del 20% dell’offerta globale. La Russia rappresenta quasi un decimo dei fertilizzanti globali a base di azoto e fosfato e, con la Bielorussia, rappresenta circa un terzo della produzione di cloruro di potassio. La guerra avrà un impatto diretto poiché la Russia ha già annunciato divieti di esportazione di fertilizzanti verso “paesi non amici” tra i quali è presente l’Italia grazie al governo e a chi lo sostiene.

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Gli impatti indiretti si faranno sentire anche in quanto la produzione di fertilizzanti è ad alta intensità energetica, basandosi in particolare sul gas naturale. La produzione di fertilizzanti e dell’ammoniaca assorbe tra l’1 e il 2% del consumo energetico globale.

L’interruzione del mercato globale dei fertilizzanti avrà un impatto importante sulle rese delle colture e sul reddito agricolo. Nell’UE, gli agricoltori saranno colpiti sia dagli aumenti dei prezzi che dalle rinnovate restrizioni commerciali. Tra l’altro l’UE ha già introdotto sanzioni sulle esportazioni bielorusse di cloruro di potassio. La stessa però dipende per l’85% del suo consumo di cloruro di potassio dalle importazioni, di cui il 27% dalla Bielorussia.

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Visione di medio-lungo periodo.

Oltre all’interruzione a breve termine delle esportazioni dall’Ucraina, queste potrebbero essere ancora limitate per un periodo medio-lungo a causa delle infrastrutture danneggiate dalla guerra e dal fatto che le colture potrebbero non essere piantate quest’anno. Oltre a queste problematiche, sia l’Ucraina che la Russia hanno imposto restrizioni all’esportazione per sostenere la domanda interna. A marzo l’Ucraina ha vietato le esportazioni di una serie di prodotti alimentari (segale, orzo, grano saraceno, miglio, zucchero, sale e carne) fino alla fine del 2022.

Finora, le grandi aziende agricole in Ucraina hanno sospeso le operazioni a causa di problemi per la sicurezza. Le principali infrastrutture, in particolare i porti da cui la maggior parte dei cereali viene inviata, rimangono intatte ma non sono operative. La guerra si sta sviluppando nelle zone dell’est e nel sud-est dell’Ucraina, dove esiste una importante concentrazione di colture. Aspettiamoci quindi che i terreni agricoli potrebbero essere danneggiati, o almeno non seminati.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura finora prevede che una percentuale tra il 20% e il 30% dei terreni solitamente destinati a cereali, mais e semi di girasole non produrrà raccolti per il prossimo anno. Nel peggiore dei casi, l’Ucraina avrà bisogno di tutto ciò che può produrre per il suo consumo interno e le esportazioni saranno azzerate. Nel secondo scenario peggiore, l’Ucraina sarà ancora in grado di portare metà della sua normale produzione sui mercati di esportazione. E nel migliore dei casi, che probabilmente si materializzerebbe solo se le ostilità finissero rapidamente, l’Ucraina potrebbe perdere solo il 33% delle sue esportazioni.

Mipaaf - FAO

Per le esportazioni russe, gli scenari prevedono una riduzione dal 10% al 30%. Finora, la Russia ha chiuso il Mare di Asov alle navi commerciali, ma ha mantenuto aperto il suo porto del Mar Nero, da dove viene spedita la maggior parte dei suoi cereali. Di fronte all’aumento dei prezzi alimentari, la Russia ha iniziato a frenare le esportazioni già a dicembre 2021. Nel marzo 2022, le esportazioni di cereali verso l’Asia centrale sono state sospese.

Infine, una carenza di fertilizzanti implicherebbe una riduzione della produzione alimentare in altre parti del mondo, porterebbe ad un maggiore divario tra le esigenze dei Paesi importatori e le possibilità dei Paesi esportatori.

Il risultato più evidente peserebbe sui Paesi più esposti cioè i Paesi a basso e medio reddito dell’Asia centrale, dell’Europa orientale, del Medio Oriente e del Nord Africa. Lo shock dell’offerta si tradurrà in prezzi più elevati. Anche i Paesi dell’Africa sub-sahariana, tra cui Mauritius, Capo Verde, Botswana, Lesotho e Namibia, potrebbero essere colpiti tanto quanto quelli che sono storicamente dipendenti dalle importazioni dall’Ucraina e dalla Russia. Inoltre, i Paesi con basso reddito disponibile hanno una situazione finanziaria significativamente peggiorata già dalla pandemia di COVID-19.

Spostare le rotte di approvvigionamento per le materie prime agricole sarà anche impegnativo dal punto di vista della logistica. Molti Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa si affidano alla rotta del Mar Nero. Per i Paesi a basso e medio reddito, i costi di importazione da luoghi più lontani saranno più difficili da assorbire, soprattutto perché questi dipendono principalmente dall’andamento dei valori del carburante e dell’energia.

Conclusioni e considerazioni

L’offerta di cibo più bassa e i prezzi più alti persisteranno nei prossimi mesi. L’inflazione globale aumenterà con l’aumento storico combinato dei prezzi dell’energia e dei prodotti alimentari. Questi fattori avranno come diretta conseguenza l’aumento dei bisogni umanitari e di rischi politici. Un certo numero di Paesi sta già applicando restrizioni all’esportazione per garantire le proprie forniture, esacerbando i problemi per i Paesi più vulnerabili.

 Anticipare le carenze future potrebbe aiutare in modo significativo ad ammorbidire il colpo e limitare gli impatti umanitari degli shock dell’approvvigionamento alimentare. I principali produttori, tra cui l’UE, gli Stati Uniti e l’Australia, potrebbero prepararsi. Queste economie hanno industrie agro-alimentari molto efficienti e potrebbero aumentare la produzione su terreni incolti. L’UE in particolare, con la sua vicinanza ai mercati più vulnerabili, deve consentire ai suoi agricoltori di aumentare drasticamente la produzione di cereali. Le colture per il consumo alimentare dovrebbero essere prioritarie, ove possibile, rispetto ai foraggi e ai biocarburanti, che restano comunque, molto richiesti nei Paesi sviluppati a causa dell’impennata dei prezzi dell’energia.

Attualmente l’UE produce colture energetiche su circa il 15% dei suoi seminativi. Inoltre, data l’entità dello shock attuale, l’obbligo per gli agricoltori dell’UE di lasciare il 5% dei seminativi come “aree di interesse ecologico” – incolte e senza uso di fertilizzanti – dovrebbe essere revocato per l’attuale stagione di semina. Purtroppo questa è terminata alla fine di marzo e sarà probabilmente molto limitata, ma per la prossima stagione sarà fondamentale garantire che le scorte alimentari siano reintegrate.

Una delle principali sfide per gli agricoltori dell’UE rimane l’impennata dei prezzi dei fattori di produzione, compresi i fertilizzanti e il carburante. Ciò potrebbe giustificare un sostegno mirato per garantire che le aziende agricole rimangano economicamente sostenibili. Alcuni agricoltori europei potrebbero essere al sicuro dallo shock dei fertilizzanti di quest’anno perché hanno già ciò di cui hanno bisogno, ma effetti negativi saranno evidenti pienamente l’anno prossimo.

Questa analisi rende molto razionale e logico sia il problema che la sua eventuale soluzione. Ma dobbiamo purtroppo renderci conto che i problemi citati non scaturiscono direttamente dalla guerra, ma soprattutto dalle scellerate scelte della governance europea, effettuate in questo periodo ma ancor più nei precedenti. Alla luce di questa considerazione, non si può sperare nella logica e razionale lungimiranza delle autorità competenti che, negli anni, hanno dato prova di essere portatori degli interessi delle multinazionali e dei lobbisti che li rappresentano.

Petrolio? Mala tempora currunt …

Le problematiche geopolitiche possono creare effetti imprevedibili e indesiderati. L’invasione russa dell’Ucraina e la risposta dell’Occidente forniscono un’idea di quanti danni possa provocare questa combinazione.

Ucraina: cosa vuole la Russia, cosa può fare l'Occidente — L'Indro

Il prezzo del petrolio prima dell’invasione era scambiato poco sopra i 90 $ al barile. L’offerta, che era stata ridotta durante la pandemia, stava ripartendo lentamente rispondendo al rimbalzo della domanda conseguente alla fine dei lockdown.

Ma con l’inizio delle ostilità e le successive sanzioni imposte dall’Occidente alla Russia (con l’eccezione delle sue esportazioni di petrolio e gas a causa della dipendenza dell’Europa da loro) abbiamo visto il prezzo salire a quasi $US 140 al barile, prima di scendere al suo livello attuale di circa $US 115 al barile. Un aspetto molto rilevante è stata l’eccezionale volatilità, con movimenti intraday fino al cinque per cento.

Questa entità dei movimenti dei prezzi ha causato una forte pressione finanziaria per i traders di petrolio e i loro finanziatori. Questo, a sua volta, ha impattato sull’offerta fisica di petrolio.

Nonostante le sanzioni non si applichino, attualmente, alle esportazioni di petrolio e gas della Russia, gli acquirenti e i traders si sono “auto-sanzionati”, sia a causa del timore di danni alla reputazione per essere considerati filo russi – il tipo di danno subito da Shell quando ha acquistato un carico a basso costo di petrolio russo – oppure nel timore di essere inavvertitamente coinvolti nella rete di sanzioni finanziarie.

A questo si aggiunge l’incertezza nel divenire della crisi. Ogni notizia proveniente dall’Ucraina, oppure ogni volta che viene promossa un’estensione delle sanzioni, oppure ogni volta che ci sono negoziati tra Ucraina e Russia si generano volatilità e rischio. Un carico di petrolio potrebbe avere un valore quando lascia un porto e uno molto diverso una volta giunto a destinazione.

Petroliera - Wikipedia

Tutto questo ha stressato i mercati delle materie prime in generale e il mercato petrolifero in particolare.

I traders stanno esperendo una crisi di liquidità a causa delle aumentate richieste di margine, sia nel mercato fisico del petrolio che nei mercati dei derivati. Gli stessi hanno usato i prestiti bancari per finanziare i carichi di petrolio e altre materie prime che spediscono in tutto il mondo. E poiché i prezzi delle materie prime sono aumentati dopo l’invasione, il requisito di finanziamento per ogni spedizione è aumentato bruscamente. Di conseguenza anche i costi di copertura del valore dei carichi contro il rischio nei mercati finanziari sono aumentati drasticamente.

La posizione dei traders e dei produttori di petrolio, peraltro, non è aiutata dal fatto che il mercato dei futures per il petrolio è in “backwardation“, cioè il prezzo atteso del petrolio in futuro è inferiore al prezzo attuale.

Con gli USA che, da un lato cercano di fare un accordo con l’Iran e il Venezuela per aumentare la loro produzione in cambio di un alleggerimento delle sanzioni, e dall’altro fanno pressione sull’Arabia Saudita per attingere alla sua capacità produttiva, ostinatamente non utilizzata in pieno (ricordiamo che esiste un accordo OPEC per limitare la crescita della sua offerta), è possibile un aumento dell’offerta, anche se improbabile nel breve termine.

Wikileaks annuncia che le riserve di petrolio dell'Arabia Saudita sono  state gonfiate - Rete Clima

Gli europei stanno attualmente discutendo se includere l’energia russa nelle loro sanzioni (gli Stati Uniti e il Canada hanno già smesso di acquistare petrolio russo), anche se Germania e Ungheria sono apparentemente contrarie. Ricordiamo che la Russia fornisce la maggior parte del petrolio e del gas della Germania. Ricordiamo che le sanzioni richiedono l’approvazione di tutti i 27 membri dell’Unione e se ciò dovesse accadere si potrebbe innescare una forte salita del prezzo del petrolio che potrebbe scatenare una recessione profonda e prolungata all’economia globale.

ECONOMIA: IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE PREVEDE UNA GRAVE RECESSIONE  GLOBALE – Radio Onda d`Urto

E’ saggio per la Ue imporre limitazioni o blocchi alle importazioni di prodotti energetici dalla Russia?

Uno stop alle forniture russe di petrolio, gas e carbone spingerebbe la zona UE in un doloroso periodo di crisi economica per le difficoltà energetiche, che finiranno per scaricarsi sulla cittadinanza, già martoriata da due anni di folli interventi imposti con la pretesa di arginare l’epidemia COVID-19.

Stati Uniti, Canada e Regno Unito hanno annunciato embarghi o misure di eliminazione graduale dei prodotti energetici provenienti dalla Russia. Ma ricordiamo che questi Paesi hanno nei loro territori cospicue produzioni petrolifere.

L’Unione Europea invece si è mostrata titubante lanciando una nuova strategia energetica, REPowerEU.

La strategia mira a ridurre di quasi due terzi le importazioni di gas dell’UE dalla Russia entro la fine del 2022 e a rendere l’Europa indipendente da tutti i combustibili fossili russi entro il 2030.

Ammesso che la UE, nel suo insieme, possa affrontare il prossimo inverno senza gas russo, potremmo sostenere anche un’interruzione delle forniture di petrolio e carbone?

Alcuni operatori del mercato hanno già iniziato a limitare i loro acquisti di carbone e petrolio dalla Russia, altri hanno smesso di acquistare petrolio russo, mentre altri ancora acquistano solo con uno sconto sostanziale. L’Agenzia internazionale per l’energia suggerisce che 3 milioni di barili al giorno (mb / d) di petrolio greggio e prodotti petroliferi russi potrebbero non trovare allocazione nei mercati a partire da aprile 2022, a causa delle sanzioni.

Petrolio

La Russia è il più grande esportatore di petrolio al mondo, con circa l’8% dell’offerta mondiale, e l’UE il secondo importatore mondiale e il più grande acquirente di petrolio russo. Oltre il 70% delle esportazioni di prodotti petroliferi russi è andato ai mercati europei e statunitensi.

Secondo il Servizio Federale delle Dogane della Russia, nel 2021, quando i prezzi del petrolio erano in media $ 71 barile, le esportazioni di petrolio greggio e i prodotti petroliferi hanno rappresentato il 37% delle entrate russe da esportazioni, nel febbraio 2022, il prezzo del petrolio russo era in media di $ 92 barile. Possiamo immaginare l’effetto di questo dato sulle entrate russe!

Storicamente, l’infrastruttura petrolifera russa è stata costruita per servire i mercati europei, in particolare attraverso l’oleodotto Druzhba, che alimenta direttamente sei raffinerie nell’UE. Ma dal 2009 (quando è stata completata la prima fase dell’oleodotto ESPO-1), la Russia ha sviluppato rotte di esportazione verso i mercati asiatici e direttamente in Cina.

L’UE: il secondo importatore mondiale di petrolio

Nel 2020, secondo Eurostat, l’UE ha importato 9,3 mb / d di petrolio greggio e 5,6 mb / d di prodotti petroliferi raffinati. Circa 8 mb/g di prodotti importati o raffinati a livello nazionale vengono utilizzati per il trasporto (diesel, benzina, cherosene), circa 3,5 mb/d per il riscaldamento (gasolio, olio combustibile) e 2 mb/d come materia prima dell’industria chimica (nafta, GPL). Alcuni di questi combustibili vengono riesportati in mercati come gli Stati Uniti e la Svizzera.

Nel novembre 2021, la Russia rappresentava poco meno del 30% delle importazioni di petrolio greggio dell’UE e poco più del 15% dei prodotti petroliferi. In caso di interruzione delle forniture russe, l’UE sarebbe vulnerabile per carenza di diesel, nafta e olio combustibile.

Nel 2021, le importazioni totali di petrolio dell’UE ammontavano a 15 mb/g, di cui 3,5 mb/g provenivano dalla Russia, con un conseguente flusso di 88 miliardi di euro dall’UE e dal Regno Unito verso la Russia.

Approvvigionamento globale aggregato di petrolio

Se il commercio di petrolio UE-Russia si fermasse, circa 3 mb/g di offerta di greggio russo e circa 1 mb/g di prodotti petroliferi verrebbero messi offline, costituendo un grave shock dell’offerta globale, e non è chiaro se i fornitori sarebbero in grado o disposti a compensare il deficit, questo per motivi strutturali di domanda-offerta che analizzeremo in un successivo articolo.

Ricordiamo che i membri dell’OPEC hanno attualmente un accordo con la Russia, mentre i partner dell’Asia centrale, noti come OPEC +, hanno concordato di limitare la crescita dell’offerta a 0,4 mb / d al mese. Finché questi non aumenteranno la produzione, gli Stati Uniti e i loro alleati dovranno affrontare delle serie difficoltà ad esercitare una pressione politica sulla Russia.

In ogni caso, i membri dell’OPEC sembrano lottare per raggiungere i propri obiettivi di produzione. A dicembre 2021, la produzione è aumentata di 0,25 mb/g rispetto all’obiettivo di 0,4 mb/g. La situazione è recentemente peggiorata con la perdita di capacità di 0,3 mb / g da parte della Libia.

La produzione statunitense è scesa di circa 3 mb / g all’inizio della pandemia e ha gradualmente recuperato circa la metà di questo valore.

Infine, i membri dell’OCSE detengono riserve strategiche di petrolio per 1,5 miliardi di barili. Questa offerta potrebbe compensare le esportazioni russe a rischio per circa un anno. Pertanto, un embargo immediato sul petrolio russo può essere parzialmente mitigato attingendo lentamente alle scorte strategiche. All’interno dell’UE, la direttiva sulle scorte petrolifere (2009/119/CE) impone ai Paesi di mantenere scorte di emergenza di petrolio greggio e/o prodotti petroliferi pari ad almeno 90 giorni di importazioni nette o 61 giorni di consumo, a seconda di quale sia il più alto.

L’Europa può sostituire le importazioni di petrolio dalla Russia?

Il fatto che gran parte delle importazioni di petrolio greggio in Europa avvenga via nave piuttosto che tramite oleodotto significa che, in linea di principio, sostituire il petrolio russo sarà più facile che sostituire il gas russo. Tuttavia, dovrebbero essere considerati alcuni problemi fondamentali.

Prima di tutto le infrastrutture petrolifere intraeuropee: se le forniture di petrolio russo si fermano, sarà difficile reindirizzare il petrolio greggio e i prodotti petroliferi all’interno dell’UE. L’infrastruttura è progettata per flussi da est a ovest e lo spostamento di petrolio greggio e prodotti verso est potrebbe comportare movimenti anomali di greggio, anche se tramite ferrovia, camion e chiatta fluviale.

Poi abbiamo il problema delle raffinerie, alcune di queste sono ottimizzate per utilizzare petrolio russo e saranno meno efficienti se lavoreranno con una diversa qualità di greggio. Il greggio iracheno e iraniano si avvicina di più al greggio russo. Particolarmente vulnerabili sono sei grandi raffinerie lungo il gasdotto Druzhba (in Polonia, Germania, Cechia, Austria, Ungheria e Slovacchia). Nel 2019, queste raffinerie sono state sottoposte a uno stress test in quanto i flussi sono stati interrotti a causa della contaminazione del petrolio. Hanno superato il test utilizzando riserve strategiche di greggio immagazzinato in loco. Ma queste interruzioni sono durate solo due mesi. Se non è possibile alimentare queste raffinerie, la riduzione dovrà essere assorbita in raffinerie alternative, per soddisfare la domanda del prodotto finale. Mentre le raffinerie portuali sono ancora vulnerabili a un calo da parte di un fornitore così grande, in genere sono in una posizione migliore per accettare consegne da nuovi fornitori.

Ancora, sostituzione dei prodotti raffinati russi. Oltre all’approvvigionamento di petrolio greggio, l’UE deve anche prendere in considerazione la sostituzione dei prodotti raffinati, quali diesel, nafta e olio combustibile. Le raffinerie europee potrebbero cercare di compensare questo problema aumentando la loro produttività. Per sostituire la perdita di approvvigionamento di diesel russo, ad esempio, le raffinerie europee dovrebbero aumentare l’impegno degli impianti di circa 10 punti percentuali, portandolo a quasi al 90% della capacità totale, pari a 15-16 mb / g. Sarebbe il più alto tasso di utilizzo di questo secolo.

Riduzione della domanda di petrolio

Poiché sarà difficile per l’Europa sostituire completamente, e in modo tempestivo, il petrolio greggio e i prodotti petroliferi russi, i governi dovranno incoraggiare la riduzione della domanda, e mi chiedo se questo non sia voluto da tempo. Viene subito in mente tutta la narrazione sul Great Reset e i paventati disastri ambientali incombenti, ma anche di questo ne parleremo in un altro articolo.

La UE potrebbe attuare rapidamente piani coordinati per ridurre la domanda, ad esempio aumentando il costo dell’energia per i cittadini (tanto paghiamo sempre noi cittadini) oppure attuando dei razionamenti (tanto al buio ci restiamo noi cittadini). Ancora una volta, come non pensare ad una strategia di attuazione del Great Reset?

Alcune misure sono già state suggerite per limitare la domanda di petrolio, soprattutto nel settore dei trasporti. Le misure che dovrebbero essere prese in considerazione includono l’incoraggiamento al trasporto pubblico, attraverso, ad esempio, il servizio gratuito nei fine settimana. Peccato che la popolazione sia sottoposta a ricatto del famigerato “Green Pass” per poter usufruire dei mezzi pubblici!

Inoltre si vorrebbero promuovere campagne per incoraggiare il car sharing. Come si suggerisce dalle parti di Davos? “Non avrai più nulla e sarai felice”.

Non avrai nulla e sarai felice - Inchiostronero

Nel caso in cui le misure falliscano, potrebbero essere necessarie soluzioni più severe, come restrizioni sull’acquisto di carburanti. In fondo il “Green Pass” potrebbe servire anche a questo, altrimenti perché chiamarlo Green?

Carbone

A livello globale, i principali esportatori di carbone sono Indonesia, Australia, Russia, Colombia, Sud Africa e Stati Uniti. Dal lato della domanda, la Cina è di gran lunga il principale importatore, seguita da India, Giappone, Europa e altri paesi dell’area Asia-Pacifico.

Con i prezzi del gas in una spirale inflazionistica, anche il prezzo del carbone è aumentato, quadruplicando in un anno. Il carbone e il gas sono concorrenti nel mercato dell’elettricità in quanto entrambi colmano quello che è noto come il “divario termico”.

Il mercato dell’UE

L’UE ha gradualmente ridotto il consumo di combustibili fossili solidi, passando da 1.200 a 427 milioni di tonnellate (MT) nell’arco di tre decenni (1990-2020). Il processo di riduzione, però, ha riguardato principalmente la quota di produzione interna, di conseguenza, le importazioni sono diventate più significative passando dal 30% a oltre il 60% del consumo interno, sollevando interrogativi sulla disponibilità di carbon fossile per l’UE in caso di embargo energetico sulla Russia.

La Russia ha svolto un ruolo importante nel colmare il divario tra il consumo di carbon fossile dell’UE e la sua produzione interna, con le con le esportazioni verso la Ue che sono passate da 8 milioni di tonnellate (7% delle importazioni totali dell’UE) nel 1990 a 43 milioni tonnellate (54%) nel 2020.

È importante distinguere tra carbone termico, noto anche come “carbone a vapore”, che viene utilizzato per generare elettricità, e carbone metallurgico utilizzato nella produzione di ferro e acciaio. Il carbone metallurgico russo rappresenta tra il 20 e il 30 per cento delle importazioni di carbone dell’UE, mentre quello di carbone termico è quasi del 70 per cento. La Germania e la Polonia dipendono in particolar modo dal carbone termico proveniente dalla Russia.

Fa quasi sorridere, se non fosse tragico, vedere i “lungimiranti” politici “NON ELETTI della UE” affannarsi per sostituire il gas con il carbone, dopo che per decenni ci hanno infranto le gonadi con i lagnosi piagnistei dei Gretini made in UE sui pestiferi effetti del carbone sul riscaldamento terrestre.

Diversificare e aumentare l’offerta di carbone dell’UE

Sebbene le importazioni russe costituiscano una quota significativa del carbone termico consumato nell’UE, ci sono segnali da parte dell’industria che tali importazioni potrebbero essere sostituite in tempi relativamente brevi. Bisognerà vedere però a che prezzo e a quali condizioni geopolitiche. Come sempre questo appare come una presa di posizione che tende a favorire alcuni produttori a scapito di altri. Bisognerebbe indagare sulla commistione tra esponenti dei vari governi e multinazionali dell’energia.

Dal punto di vista politico, si dovranno implementare forti campagne di propaganda per far digerire ai cittadini i maggiori oneri imposti dal nuovo assetto di forniture energetiche.

Inoltre, per consentire l’uso di tipi di carbone alternativamente disponibili, si dovrebbe valutare la possibilità di allentare alcune norme ambientali, un pò come accade per le regole di bilancio in area UE, che vengono “aggiustate” in base a convenienze politiche di Germania e Francia,

Ad esempio per il 2022 la US Energy Information Administration (EIA) ha previsto che la produzione di carbone degli Stati Uniti aumenterà di oltre il 4%, mentre il consumo interno è destinato a diminuire. L’EIA si aspetta che ciò sostenga le esportazioni, contribuendo al contempo a ricostituire le scorte di carbone nelle centrali elettriche.

Quindi questa rimodulazione dell’approvvigionamento di carbone porterà ad una minore offerta e ad una logistica più complessa. Aumenterà il costo delle importazioni di carbone e ciò potrebbe comportare delle temporanee interruzioni locali.

Tutto in linea con le direttive che piovono da Davos? Non sappiamo la risposta … ma la domanda sorge spontanea…

che fine ha fatto antonio lubrano? È pronto al ritorno in tv con le canzoni  napoletane - Dagospia
Antonio Lubrano giornalista

Conclusioni

Fermare le importazioni di gas russo sarà difficile e costoso per i cittadini, ma ancora peggio sarà per l’UE gestire una completa interruzione delle importazioni russe di petrolio e carbone. Un arresto europeo delle forniture russe di petrolio e carbone avrà un impatto doloroso con prezzi più alti, che cadranno soprattutto sulle piccole imprese italiane che rischieranno, così, di essere spazzate via dal mercato. Ma ancora una volta, visto che Mario Draghi auspica una “distruzione creativa” dell’economia con l’eliminazione delle piccole imprese a favore delle corporation, tutto questo potrebbe essere un effetto voluto?

CUI PRODEST?

Alcuni analisti auspicano un “Patto energetico transatlantico” tra l’Europa e gli Stati Uniti i per far fronte alle perdite delle importazioni russe. Ma, in ogni caso, uno stop alle importazioni di petrolio dalla Russia implicherà un aumento dei prezzi del petrolio per i cittadini dell’Europa. Teniamolo bene a mente!

Per quanto riguarda il carbone, il trasferimento dell’approvvigionamento delle forniture europee dalla Russia verso altri Paesi, porterà a prezzi globali del carbone più elevati, ancora una volta con significativi effetti sulle economie. Anche le questioni logistiche devono essere risolte. E’ di fondamentale importanza che l’Europa acquisti rapidamente più carbone e ricostituisca le sue scorte, in particolare, a causa del suo potenziale aumento di consumo nelle centrali elettriche.

Mentre l’Europa attraverserà un doloroso periodo, qualcuno si arricchirà a sue spese e se anche il clima ne verrà danneggiato vorrà dire che le “Grete” dovranno farsene una ragione. Affari e geopolitica hanno sempre la priorità!

Ma tutto questo è veramente voluto dai cittadini europei?