E’ possibile una comunità di uomini senza volto? …

Si può costruire una comunità su persone che abbiano sempre il volto coperto?

Riusciremo a mantenere tutta la nostra integrità e identità di esseri umani, necessitati del rapporto con l’altro, se rinunciamo a mostrare il nostro viso?

Sono domande alle quali dobbiamo dare una risposta ora che il legislatore ci impone di vivere a volto coperto.

Il volto ci rende unici, ci rende umani e ci distingue gli uni dagli altri.

Noi siamo anche i nostri volti, il nostro rapporto con l’altro è sempre mediato dal riconoscimento del volto, la relazione con l’altro è sempre una relazione da volto a volto.  Coprire il volto significa negare la relazione con l’altro, significa ricordare sempre che l’altro deve essere percepito come una minaccia alla nostra integrità fisica ed, in ultima analisi, una minaccia mortale dalla quale occorre distanziarsi.

I nostri capi politici desiderano una società composta da individui solitari, un divide, fino all’ultimo partecipante della comunità, et impera.

E’ la negazione della comunità umana sacrificata sull’altare delle divinità terapeutiche.

 Ecco perché non può esserci società di individui dal volto coperto.

 L’umanità col volto coperto perde per sempre la propria apparenza, si disumanizza e diventa una massa di “non individui” indistinguibili tra loro.

Una pura entità che deve mantenersi a distanza di sicurezza, pena una morte fisica, forse, o sociale, sicuramente.

ERRARE HUMANUM EST………

nel trading come nella vita …

by Nashira

 Errare humanum est  perseverare…. ovest

Interessante punto di vista! Al di là della battuta e del gioco di parole nasconde la chiave di un approccio insolito e non scontato ad una esperienza sicuramente spiazzante come quella di incappare in errori e, facendo trading, questo significa perdere denaro, in piccole o grandi quantità secondo l’investimento economico e/o la propensione al rischio. E questo di sicuro non è piacevole. Mina le nostre sicurezze, scheggia la nostra autostima.

Cambiare direzione. In tutti i sensi. Cambiare il modo di fare le cose, cambiare il modo di pensare. Invertire la rotta. Cambiare orizzonte. Rivoluzionare il modo di pensare a noi stessi e a come ci giudichiamo. Perseverare nonostante gli errori.

Il precedente articolo si concludeva con l’invito a percepire le emozioni provate rispetto alle difficoltà e a cercare di limitare le sensazioni negative di fronte agli errori. In quanto anche l’errore fa parte del gioco ed è difficilmente evitabile del tutto. Possiamo soltanto limitarlo al massimo, non si può vincere sempre o essere sempre perfetti. Quindi bisogna imparare ad avere a che fare con gli errori e a gestirli. Sviluppare un atteggiamento flessibile che consenta di “surfare” tra gli alti e bassi della vita, come anche del trading, scoprendo che anche gli errori sono opportunità e che …

 “Il più grande errore che si può fare nella vita è quello di avere sempre paura di farne uno.” E. Hubbard.”

Quando qualcosa ci mette alla prova fa emergere contenuti profondi che apparentemente non hanno nulla a che fare con la problematica presente. Invece le appartengono. Invece è più che probabile che tutto sia collegato. E nel momento in cui affrontiamo una situazione nuova o una difficoltà siamo lì presenti con tutto il nostro essere, con tutto il nostro vissuto, luci ed ombre. E quindi come ci poniamo di fronte agli errori avrà a che fare con aspetti giudicanti, con i copioni comportamentali familiari, con l’autostima, con condotte inconsce auto sabotanti, e poi con l’essere capaci di perseverare, di rialzarsi dopo una sconfitta, con il permettere a noi stessi di avere successo.

Che fare allora?

Fare, prima di tutto, una analisi dell’accaduto.  Certamente verificare se tutti i passaggi sono stati fatti bene e, nonostante ciò, siamo, purtroppo, incorsi nell’evento imponderabile, non prevedibile. Valutare se abbiamo rischiato troppo oppure, se per distrazione, fretta o avidità abbiamo visto segnali che non c’erano. Chiederci se la nostra preparazione, le nostre conoscenze siano adeguate o abbiamo bisogno di fare di più.

Facciamo una analisi di ciò che ci ha portato a sbagliare ed evitiamo di ostinarci nell’errore tenendo presente che se facciamo sempre gli stessi passi otteniamo sempre gli stessi risultati e quindi sarà, magari, necessario cambiare punto di vista.

L’ostinazione, di fondo, nasconde la non accettazione del fatto di aver sbagliato. Quindi tendiamo a ripetere lo stesso comportamento che porta inevitabilmente allo stesso risultato.

Mentre nella determinazione sperimentiamo l’accettazione “sportiva” dell’errore fatto e la flessibilità di cercare nuove strade.

“Quando lo schema comportamentale non produce i risultati desiderati dobbiamo cambiare schema e smettere di fare la stessa cosa che non funziona.” R. Bandler.

 Passiamo dall’ostinazione alla determinazione, dalla rigidità alla flessibilità.

La determinazione è il pensiero che non si arrende. Impariamo a coltivare la calma determinazione al raggiungimento del successo, a dispetto dei momenti di stop e alle possibili deviazioni o circonvoluzioni del cammino che abbiamo intrapreso e stiamo percorrendo. Attendiamo le occasioni propizie e le opportunità di imparare e crescere.

Ma non basta. Per non incorrere sempre negli stessi errori bisogna anche coltivare la lucidità e la disciplina, dobbiamo diventare consapevoli di ciò che ci passa per la testa e dei comportamenti che agiamo. Possiamo aver capito, ad esempio, che la fretta non giova eppure ritrovarci ad agire impulsivamente se non riusciamo a mantenere lucidità e consapevolezza. Nonostante conoscenze e abilità potremmo trovarci in situazioni di cui non abbiamo il controllo perché veniamo sopraffatti dalle nostre emozioni.

Dopo una onesta valutazione dobbiamo evitare di cadere nell’autosvalutazione: non posso, non riesco, non ce la faccio.

Un atteggiamento autopunitivo di fonte agli errori può farci abbandonare del tutto una attività e farci perdere delle occasioni. Proviamo a fare attenzione al dialogo interiore: cosa ci diciamo in questi casi? Frasi svalutanti? Che atteggiamento abbiamo nei confronti di noi stessi?

Allora cambiamo orizzonte, proviamo a dirigerci a ovest o compiere un passaggio a nord-est!

Qui possono venire in nostro aiuto discipline potenti: psicolinguistica, PNL, Psych-k, Transurfing per citarne alcune.

Proviamo a porci una domanda diversa dal solito: perché sto creando questo tipo di realtà?

        “Dal momento che la nostra rappresentazione della realtà determina in larga misura la nostra “esperienza” della realtà” R. Bandler.

        Siamo abituati a considerare i nostri comportamenti e i nostri aspetti caratteriali come qualcosa di statico e inevitabile invece dobbiamo considerarli come un processo e quindi qualcosa di aperto e suscettibile di cambiamenti. Possiamo liberamente rivedere le vostre convinzioni decidendo quali sono utili e valide da conservare e quali, invece, andrebbero cambiate per migliorare la vostra vita.

Le nostre convinzioni e credenze disegnano i limiti delle nostre esperienze.

E’ facile capire che se penso di non essere in grado di svolgere una attività non mi cimenterò mai in quella attività e se lo farò sarò limitato dalla convinzione di non farcela.

Possiamo sbarazzarci dei nostri limiti usando una caratteristica sorprendente e meravigliosa del nostro cervello: la neuroplasticità.

“La neuroplasticità è la capacità del sistema nervoso – cervello di modificare l’intensità delle relazioni interneuronali – sinapsi, di instaurane di nuove e di eliminarne alcune e questo a qualsiasi età” R. Bandler.

Per tutta la vita il cervello è plasmato dall’esperienza. Ogni ripetizione di un pensiero o di una emozione rinforza un percorso neurale che circoscrive il modo in cui formiamo le nostre convinzioni, modella le simpatie e antipatie, crea limiti e rinforza pregiudizi consci e inconsci. Il cervello funziona richiamando programmi mentali che sono una sorta di istruzioni per l’uso e che gli permettono di farci pensare e agire in un certo modo molto velocemente. Programmi che una volta installati il cervello non mette più in discussione.

Ma se questi programmi fossero ormai inadeguati, obsoleti, non più adatti alle circostanze attuali, anzi frenassero la nostra crescita?

Allora sfruttando la neuroplasticità, ossia modificando i percorsi neurali, possiamo rimuovere schemi, abitudini, pregiudizi e limiti che ci ostacolano. Possiamo riprogrammare il cervello per avere nuove convinzioni che ci portano maggiore libertà, opportunità e nuove possibilità di scelta.

Possiamo creare nuove convinzioni, installare credenze potenzianti per muoverci in direzioni più utili e desiderabili.

Psicolinguistica, PNL, Psych-k, Transurfing usano linguaggio e immaginazione per riprogrammare il cervello. Nella nostra immaginazione possiamo creare gli scenari in cui vedere noi stessi fare le cose in modo più efficace. Ci possiamo allenare a sentirci bene e felici senza nessuna particolare ragione. Possiamo acquisire comportamenti innovativi che possono portare miglioramenti a tutta la nostra vita.

Quando le persone cambiano le proprie convinzioni cambiano la propria vita.

Questo significa in ultima analisi decidere il proprio destino. Anche cercare di diventare un trader migliore può diventare un percorso di conoscenza di noi stessi, di crescita e di cambiamento che può avere ricadute positive su molti aspetti della nostra vita.

DPCM E DEMOCRAZIA UN DIFFICILE CONNUBIO

Terza parte …

Senza negare l’esistenza del virus, esiste però una narrazione mediatica enfatizzata che fa leva sulla parte più sensibile dei cittadini che è l’istinto di sopravvivenza.

Questo induce a vivere in un clima di paura in cui la gente è disposta a rinunciare a tutto, ad accettare acriticamente e supinamente questo modo dispotico di gestire l’emergenza sanitaria.

Limitare alcuni diritti costituzionali quando c’è di mezzo la tutela collettiva è possibile. Quello che è inaccettabile è comprimere in maniera assoluta tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione ai cittadini e annullare tutte le procedure costituzionali previste.

Non neghiamo la possibilità di contrarre una malattia che può, in taluni e sporadici casi rivelarsi grave. Bisogna prendere atto della realtà. Nessuno di noi è “negazionista” come cialtronescamente politici e giornalisti filo governativi hanno definito le persone non allineate ai diktat.

Non è negare il virus l’affermare che gran parte dei positivi sono asintomatici e quindi, secondo alcuni esperti, non contagiosi. Non è negare il virus avere perplessità sulla affidabilità dei tamponi effettuati. Non è negare il virus la constatazione che il numero dei contagiati trasmessi dai mainstream rileva anche i tamponi che vengono ripetuti più volte dallo stesso soggetto. Non è negare il virus leggere dai mainstream che si sta ancora studiando un test valido per distinguere la normale influenza dal Covid 19. Quest’ultima affermazione lascia perplessi quando si legge ancora che l’influenza quest’anno è scomparsa. Qualche “negazionista” potrebbe dire che ha semplicemente cambiato nome!

Le terapie intensive hanno i problemi di saturazione, ma sono gli stessi problemi rilevati anche gli anni scorsi, dovuti ai tagli alla sanità imposti dai governi che dovevano inderogabilmente e indiscutibilmente seguire le regole impostegli dalle direttive europee. Le stesse correnti politiche che oggi “latrano” in attesa del MES salvifico.

MES e altri fondi (non specificati nell’an e nel quantum) che, chiaramente, saranno gestiti dalle fantomatiche task force nominate ad hoc dai nostri cari premier, con contratti e normative chiaramente secretate.

Un altro aspetto importante riguardo i dpcm è la motivazione. Il DPCM dal punto di vista tecnico è un documento attuativo. A monte ci devono essere una legge, un decreto legge oppure un decreto legislativo.

Qui abbiamo dei decreti in sostanza vuoti nel loro contenuto, che rimandano all’esecutivo il compito di definire ciò che si può o non si può fare.
Di fatto questi dpcm disciplinano in modo contradditorio ogni regolamentazione.

Quando si impone  il coprifuoco in pieno spirito dittatoriale non è necessario motivare, ma è sufficiente fare un riferimento al contenimento della curva ….

In una democrazia occorrerebbe dimostrare perché questa limitazione “nazistoide” è necessaria…

Se si decide che i bar devono chiudere ma gli stessi bar situati in autostrada possono rimanere aperti, è necessario definire il criterio adottato.

Inoltre, riguardo ai ristoranti, prima sono stati costretti a costosi investimenti per adeguarsi alle normative; poi devono chiudere alle 18.00, provocando una significativa riduzione di fatturato.

Il ministro Spadafora il 21 di ottobre dichiara che dai controlli dei NAS emerge un rigore rispettoso nelle palestre e nelle piscine; non ci sono evidenze di focolai partite da palestre o piscine. Il governo che fa?  chiude   palestre e piscine. Mi chiedo qual è il motivo di questo accanimento.

L’unica cosa sensata che emerge da tutto ciò sembra essere il desiderio del governo di distruggere interi comparti dell’economia

Oltretutto sono indefiniti e lacunosi nei loro obblighi e divieti. Ne è un esempio il divieto di transito in alcune strade o piazze nei centri urbani per evitare situazioni, non meglio definite, di “assembramento”

Ma questa indefinizione dei concetti significa che si demanda ai sindaci la possibilità di intervenire in modo più o meno autoritaristico sulla libera circolazione dei suoi concittadini in strada. 

DPCM E DEMOCRAZIA UN DIFFICILE CONNUBIO

Seconda parte

LA DICHIARAZIONE DI STATO DI EMERGENZA

Ora esaminiamo in base a quale legge viene dichiarato lo Stato d’emergenza e quale sono i suoi limiti temporali.

La dichiarazione di emergenza non è prevista dalla nostra Costituzione a differenza di altri Paesi, dove, all’interno dei testi costituzionali, è normata la dichiarazione di emergenza per vari motivi anche sanitari.

L’ordinamento costituzionale italiano volutamente non l’ha inserita. La nazione era reduce da un’esperienza, quella del Fascismo, con il ricordo della Costituzione di Weimar del 1919 che aveva consentito legalmente l’ascesa di Hitler.

Ad oggi lo stato d’emergenza è normato da una Legge ordinaria, di rango inferiore alla Costituzione.

E’ il decreto legislativo delegato numero 1 del 2018 che è attualmente vigente e conosciuto come Codice della Protezione Civile. L’articolo 24 di questo decreto prevede che la dichiarazione di  emergenza sia deliberata dal Consiglio dei Ministri, cioè dalla componente collegiale del Governo, successivamente sia pubblicata nella Gazzetta Ufficiale per l’entrata in vigore. Tutto questo preclude qualunque passaggio parlamentare o controllo preventivo di legittimità.

Di fatto il Parlamento non è coinvolto nella dichiarazione dello stato d’emergenza.

L’articolo 24 ne prevede la durata in 12 mesi, prorogabili di altri dodici, con un temine massimo di 24. Ma   questi termini sono stabiliti da una legge ordinaria che non vieta al governo un ulteriore allungamento di detto termine con un semplice atto normativo avente forza di legge.

Ma se è vero che lo stato di emergenza sanitario non è normato in Costituzione, per altro lo è lo stato di guerra.

La Bandiera di Guerra AM

Per tale situazione la nostra Costituzione nell’art 78 riporta:

“Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.”

Quindi, anche in una situazione di tale gravità, come può essere lo stato di guerra, è previsto che, innanzitutto, sia il Parlamento a dichiararlo e poi che sia lo stesso a conferire al Governo, non tutti i poteri, ma solo i poteri necessari allo scopo.

Pertanto, se è vero che lo Stato d’emergenza, diverso da una guerra, non è previsto in costituzione, resta il fatto che la nostra sia una Repubblica Parlamentare, quindi che abbia la centralità del Parlamento. Dove c’è l’emergenza delle emergenze, cioè una guerra, il Parlamento deve avere un ruolo centrale. Tanto più questo rende sicuramente dubbia la costituzionalità del Codice della Protezione Civile, che nella dichiarazione di emergenza di rilievo nazionale, esautora completamente i poteri dei due rami del Parlamento, il Senato della Repubblica e la Camera dei Deputati.

Questo procedimento introduce un arbitrio molto ampio in capo al Governo.

Una delle particolarità del caso italiano è, appunto, l’auto esautorazione del Parlamento, mostrato con la sua stessa ignavia.

Anche in altri Paesi sono presenti delle restrizioni ai diritti civili, ma comunque i Parlamenti continuano a svolgere attività di monitoraggio nei confronti dell’operato del Governo, con lo scopo di rendere quelle limitazioni congrue, cioè  far sì che le misure di contenimento siano  proporzionate allo scopo cui sono adottate.

Sarebbe, pertanto, auspicabile che anche il nostro Parlamento proceda ad una verifica nei confronti dell’operato del Governo che si dimostra, sempre di più, “one man show”.

Nell’analisi delle diverse misure di contenimento previste nell’ordinamento italiano, la prima cosa che si rileva è la bassa qualità del livello normativo.

Nel decreto legge principale, quello del 25 marzo 2020 numero 19 e all’articolo 1 comma 2 lettera F, che non è l’unico ma è la fonte principale su cui si fondano i dpcm, leggiamo, ad esempio, espressioni come:“….limitazione o divieto delle riunioni o degli assembramenti in luoghi pubblici o aperti al pubblico….”.

Ma allora: “limitazione o divieto”? non sono la stessa cosa e si affida poi ad un DPCM, non sottoposto ad alcun controllo preventivo di legittimità, il compito di darne attuazione.

Un’analisi, ora, all’obbligo delle mascherine.

Nel decreto-legge del 7 ottobre 2020 numero 125 sono riportate due formulazioni diverse sulla questione delle mascherine.

L’articolo 1 comma 1 obbliga di portarle con sé con possibilità di prevederne l’obbligo di indossarle.

Lo stesso decreto legge, nell’ articolo 5 comma 1, obbliga di portarle con sé ma anche l’obbligo di indossarle, tranne alcune eccezioni.

Quindi quale delle due formulazioni è valida? Il dpcm del 13 ottobre 2020, come modificato e integrato da quello del 18 ottobre, aderisce alla seconda formulazione: Obbligo di portare con se e obbligo di indossarle, di nuovo operando autonomamente e senza controlli.

Ora, se da una parte è giusto tutelare la salute collettiva, è anche vero che ci sono degli

studi scientifici che dimostrano che un uso prolungato può avere degli effetti dannosi collaterali, come sono stati già riportati dalla cronaca. Esiste a tale proposito una recente sentenza del Consiglio di Stato, sez. III 26 gennaio 2021 n° 304, la quale recita: “Deve essere sospeso l’obbligo di indossare la mascherina da parte di un alunno che abbia certificato problemi di difetto di ossigenazione per l’uso prolungato del dispositivo di protezione individuale durante tutto l’orario di lezione, essendo il pericolo di affaticamento respiratorio – in mancanza di una costante verificabilità con saturimetro – troppo grave e immediato.”

Oltretutto vi sono forti dubbi sulla efficacia dell’utilizzo della mascherina in luoghi aperti, come ribadito più volte anche dai cosiddetti esperti di nomina governativa, salvo poi, gli stessi cambiare opinione, chissà perché

Se la salvaguardia della salute collettiva mette in pericolo la salute individuale, la norma adottata non è sicuramente congrua.

A differenza di altri ordinamenti, il nostro non mostra questo doveroso bilanciamento tra interessi collettivi e interessi individuali. Sicuramente un pericolo per la garanzia degli stessi diritti  fondamentali della persona umana.

Riassumendo, l’obbligo della mascherina è un trattamento sanitario obbligatorio e come tale deve essere previsto da una disposizione di legge e non è possibile imporlo con un atto amministrativo.

Spetta, semmai al Parlamento intervenire per modulare l’obbligatorietà della mascherina. Imporla tramite un atto amministrativo vìola la riserva di legge sancita in Costituzione.

Stiamo assistendo all’affermarsi di un generale e sempre più consolidato ribaltamento del principio di libertà individuale, dove la libertà è relegata a degli spazi residuali.  Non è tollerabile che in uno stato di diritto sia scritto “è consentito oppure è possibile”.

In base a queste formulazioni   la regola generale è la non libertà e poi ci sono delle eccezioni dove relegare le libertà.

Ancora meno tollerabili sono gli atteggiamenti dell’ex Presidente del Consiglio che, nel corso di numerosi interventi televisivi oppure sui social media, Facebook in particolare, si è espresso in termini di “noi consentiamo”, espressione di un totalitarismo che è inaccettabile in una democrazia, che non si palesava dalla caduta del Fascismo in poi.

D’altra parte cos’è una dittatura? Convenzionalmente, la situazione data dall’accentramento, in via straordinaria e temporanea, di tutti i poteri in un solo organo, monocratico o collegiale.

Conniventi e coautori di questa costruzione senz’altro abbiamo i mezzi di propaganda che hanno alimentato la percezione terroristica inducendo nella popolazione uno stress emotivo, facendo leva soprattutto sulla ostentazione del pericolo di una morte imminente ed estesa a larghe fasce della popolazione. Ricordiamo tutti le file dei camion fatti sfilare in bellavista che contenevano feretri di persone decedute. Questo macabro spettacolo è, a mio giudizio, uno dei punti più bassi toccati dal già infimo panorama del mainstream a reti unificate.

Il fine di tutto ciò è chiaramente quello di inculcare nella popolazione un sentimento di paura così da far accettare alla popolazione stessa le varie angherie inflitte.

L’espressione dispotica di questo governo, in nome della nostra salute pubblica, si è manifestata in un continuo comprimere i diritti primari di ognuno, da quello basilare di spostamento a quello, essenziale per la sopravvivenza, di esercitare un’attività economica.

Da ultimo è apparso il “coprifuoco”, termine più militare che sanitario. E poi questo legare il virus ad un orario….come se la diffusione del virus dipendesse dal calar del sole. Volendo passare una battuta: d’accordo che secondo alcuni scienziati il virus lo hanno trasmesso in pipistrelli …. Ma questo è troppo!

L’Italia critica continuamente alcuni sistemi politici come autoritaristici. Si pensi alla Russia di Putin. Ebbene, anche in Russia è previsto un limite alla compressione dei diritti fondamentali della persona, ancorché in presenza di uno stato d’emergenza sanitaria.

La stesso vale per l’Ungheria di Orban, il quale è comunque passato attraverso il vaglio del Parlamento per poter intervenire nello stato di emergenza sanitaria del Paese. E stiamo parlando dell’Ungheria. Uno Stato messo all’indice dall’Unione Europea per delle violazioni dello stato di diritto.

Fine seconda parte …

 

DPCM E DEMOCRAZIA UN DIFFICILE CONNUBIO

LA COSTITUZIONE CALPESTATA

Ormai da molti mesi la nostra Costituzione viene calpestata, le nostre vite e i nostri diritti umiliati da strumenti mai utilizzati in precedenza: i famigerati DPCM del presidentissimo Conte. Questa tipologia di provvedimento fa parte di atti amministrativi e deve trovare fondamento in un atto avente forza di legge ed essere motivato.

Iniziamo subito ponendoci delle domande: I dpcm del Presidente del Consiglio sono costituzionali? e sono legittime le sanzioni fin qui elevate?  

Secondo quanto deciso da un giudice di Frosinone la risposta è positiva. Questi aveva annullato due sanzioni comminate ad un padre ed una figlia che erano stati trovati fuori dalla loro abitazione   durante il lockdown, motivando la sua sentenza con il fatto che lo stato di emergenza per rischio sanitario proclamato dal Governo era da considerarsi illegittimo e anticostituzionale.

Questa sentenza contraddice completamente l’impostazione data da altro giudice di Busto Arsizio il quale, in una recente sentenza, viceversa, ha legittimato l’azione del governo chiarendo che i Dpcm trovano legittimazione in un Decreto Legge avente avuto regolare iter parlamentare. Quindi  il decreto legge del 25 marzo numero 19  e il passaggio parlamentare renderebbe costituzionalmente legittimo il ricorso  ai DPCM e le sanzioni comminate in base ad esse.

Ma la decisione del magistrato non sembra essere convincente per una serie di motivi che andremo ad illustrare.

Nella nuova “normalità” che ci vogliono imporre, la nostra vita viene regolata dai dpcm del premier Conte che, con cadenze strettissime, impongono nuove limitazioni a diritti sanciti in Costituzione, beninteso “sempre nel nostro interesse e a tutela della salute collettiva”.

Affrontiamo subito la vexata questio: sono costituzionali questi dpcm ?

Il problema dal mio punto di vista deve essere analizzato sotto vari aspetti.

Da quando è stata dichiarata l’emergenza sanitaria, molti hanno soffermato l’attenzione su questi atti amministrativi.

Ma il primo problema che si dovrebbe sollevare non è sui dpcm, ma è sul decreto legge o meglio sui decreti legge, quindi sulle fonti primarie su cui questi dpcm si basano, cioè su tutti i decreti legge a partire, n°19 del 2020, fino ad arrivare all’ultimo che ha prorogato lo stato di emergenza fino al 30 aprile 2021, Decreto Legge n° 2 del 13 gennaio 2021.

Pertanto, il giudice di Busto Arsizio non ha rilevato che il vulnus primario risiedeva già nei decreti legge.

In altre parole, un decreto legge dovrebbe contenere   delle misure immediatamente applicabili, perché il suo scopo nasce per fronteggiare una situazione di urgente necessità, che preclude il ricorso alla via della legislazione ordinaria, secondo quanto sancito dalla lettera costituzionale che riporto qui sotto.

Articolo 77

Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti.

Quindi un decreto legge per sua natura non può avere una efficacia differita. Sarebbe una contraddizione in quanto vengono meno i presupposti su cui si fonda.

Pertanto i dpcm, che sono atti amministrativi, hanno una loro giustificazione legale nei decreti legge. Il problema, di conseguenza, è proprio nel riconoscimento legale di questi ultimi.

Uno dei problemi che si rinviene in questi decreti è l’attribuzione di un potere discrezionale al Presidente del Consiglio dei Ministri.

Oltretutto questi atti amministrativi non sono sottoposti ad alcun controllo preventivo di legittimità.

Questo in pratica significa che vengono adottati dal Presidente del Consiglio, vengono pubblicati nella gazzetta ufficiale ed entrano in vigore nello stesso giorno o il giorno successivo senza  alcun controllo sulla loro legittimità costituzionale, comprimendo, limitando e addirittura, a volte annullando, in questo modo, i diritti costituzionali.  Ci chiediamo in questo modus operandi quanto sia stata rispettata la democrazia e la Costituzione!

In occasione della Conversione del decreto legge 19 del 2020 è stato previsto che il Presidente del Consiglio dei Ministri o un ministro da lui delegato, ha l’obbligo di comunicare ai due rami del Parlamento il contenuto dei dpcm, al fine di dare a questo la possibilità di esprimersi con delle risoluzioni, che, ricordiamo, sono atti di indirizzo politico giuridicamente vincolanti.

In pratica il Parlamento potrebbe anche esprimere un indirizzo contrario, ma il Presidente del Consiglio dei Ministri non sarebbe obbligato a modificare il contenuto del dpcm. Ovviamente, in questo modo, si porrebbe un problema di responsabilità politica. 

Un’altra questione riguarda il ruolo di garanzia del Presidente della Repubblica.  Questi decreti legge sono adottati dal governo ma, in base all’articolo 87 della Costituzione, sono emanati dal Presidente della Repubblica, il quale come cita l’articolo: “Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.”.

Vuol dire che in occasione della emanazione del decreto, il Presidente della Repubblica, in base ad una giurisprudenza costituzionale costante, deve esercitare un controllo sul contenuto dello stesso. Infatti, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n 406 del 1989, “Fra tali controlli va tuttavia annoverato anche quello spettante al Presidente della Repubblica in sede di emanazione degli atti del Governo aventi valore di legge ai sensi dell’art. 87, quinto comma, della Costituzione, che è ritenuto di intensità almeno pari a quello spettante allo stesso Presidente sulle leggi ai sensi dell’art. 87, terzo comma, della Costituzione.”

Ancora, con giurisprudenza costante, la stessa Corte prevede che il decreto legge deve avere delle “misure chiare, omogenee e immediatamente applicabili.”

Tutto ciò è stato ignorato dal giudice di Busto Arsizio.

Il Presidente della Repubblica, oltretutto, non ha ritenuto di dover esercitare il suo potere di rinvio alle Camere nonostante gli fosse stato sottoposto un decreto ad efficacia differita.

Certamente dobbiamo dire che lo stesso dpcm, nonostante il diniego del Presidente della Repubblica, potrebbe essere riproposto al voto del Parlamento. A questo punto, con ulteriore approvazione, il Presidente della Repubblica sarebbe costretto ad emanarlo.

Chiaramente un tale comportamento del Presidente della Repubblica esprimerebbe un importante segnale politico e di rispetto della Costituzione.

Questo utilizzo “disinvolto” dei decreti legge e della estensione del periodo di emergenza ad libidum potrebbe portare a delle derive di tipo autoritario.

Il rischio è che, in nome della tutela della salute, i cittadini siano obbligati ad accettare limitazioni e compressioni dei loro diritti fondamentali facendo di fatto morire le democrazie contemporanee, i loro Parlamenti e le loro Costituzioni.

A questo ragionamento si potrebbe porre la seguente obiezione: alle Camere resta la possibilità di non convertire un decreto legge. In questo caso il Governo potrebbe, ancora,  porre la questione di fiducia, certamente con il rischio di non vederla accettata e con la conseguente apertura di una crisi di governo.

Inoltre, in occasione della conversione di un Decreto Legge, il Parlamento vota su di un testo già confezionato in cui le possibilità di modifica sono sostanzialmente limitate, facendo venire meno tutta la dialettica   parlamentare.

In conclusione un Parlamento che converte un decreto legge che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri un potere così ampio, senza porre alcun controllo preventivo di legittimità, è un Parlamento che abdica alla sua funzione tanto da apparire come un passacarte del Governo.

Tra l’altro assistiamo ad un proliferare di Commissioni Tecniche, che emanano atti di dubbia efficacia, visto che dopo svariati mesi siamo ancora in piena “dichiarata emergenza”, senza dimenticare che sull’operato di queste Commissioni vige perlopiù un principio di non trasparenza.

Nonostante di fronte a questo iter giuridico l’unica via di difesa sembrerebbe essere il ricorso all’autorità giudiziaria, abbiamo visto come ciò non è, di fatto, risolutorio.

Nel contesto dei ricorsi sopra riportati, i giudicanti avrebbero potuto sollevare la questione di legittimità costituzionale proprio sui decreti legge di cui si sono avvalsi per il giudizio.

Fine prima parte ….

Short squeeze – il ruolo delle opzioni-

Come anticipato analizziamo in questo articolo il ruolo che le opzioni hanno svolto nell’ambito delle operazioni di GameStop. Questo si aggiunge all’effetto short squeeze visto nel precedente articolo.

Un altro pezzo della trama che questa storia ci racconta è come gran parte del trading di GME e altri nomi come AMC Entertainment (AMC) e BlackBerry (BB) si svolga, effettivamente, nel mercato delle opzioni.

Le opzioni call sono contratti che danno il diritto di acquistare il titolo sottostante ad un determinato prezzo (prezzo di strike) fino alla data di scadenza, come abbiamo spiegato in articoli precedenti

Il vantaggio dell’acquisto di opzioni long call è quello di poter usufruire della leva finanziaria e di operare con un capitale minimo, fattore che consente l’operatività anche da parte di piccoli traders. Il massimo che può essere perso è il premio pagato per le long call.

Leva finaziaria …

Quando i piccoli traders al dettaglio acquistano le long call, sono i market maker a venderle. I market maker non vogliono accollarsi il rischio delle short call, quindi utilizzano una tecnica definita delta hedging.

Che cos’è un delta hedging e perché è importante in una short squeeze.

Un’operazione di delta hedging su una operazione long call richiede ai market maker di acquistare azioni. E a causa della natura delle long call, quando il prezzo delle azioni sottostanti sale, i market maker devono acquistare più azioni per rimanere coperti.

Potremmo chiamare tutto ciò call option squeeze.

Il problema è che questi interventi sul mercato non avvengono in base a cambiamenti dei fondamentali dei titoli ma sono operazioni finalizzate unicamente alla speculazione finanziaria.

Le società di intermediazione sono molto preoccupate per la volatilità di queste operazioni, poiché sanno che potrebbero affrontare perdite se i clienti non sono in grado di coprire le posizioni. Ora stanno limitando le posizioni che possono essere adottate in alcuni di questi titoli.

Il 28 gennaio 2021, l’oscillazione del prezzo delle azioni GameStop variate in intraday da oltre 483 a sotto 112, ha indotto l’introduzione di una limitazione delle posizioni consentite nell’acquisto di società coinvolte.  

Sono queste le dinamiche da tenere sotto controllo da parte dei brokers.

Approfondiremo le opzioni nella rubrica ad esse dedicata in successivi articoli…

Rimanete collegati …

Short squeeze

In questi giorni abbiamo visto un buon numero di azioni effettuare dei guadagni  davvero interessanti. Qualche titolo ha addirittura raddoppiato il prezzo nel volgere di poco tempo. Ci sono diversi fattori che stanno contribuendo a questi movimenti e tra essi annoveriamo lo short squeeze.

Ma che cos’è uno short squeeze?

L’operazione in short selling è nota. Il trader prende in prestito le azioni dal broker e le vende con l’intento di riacquistarle successivamente ad un prezzo più basso.

Questo tipo di operazione genera dei rischi maggiori rispetto alle comuni operazioni in long ovvero in acquisto, perché in questo caso le perdite sono teoricamente illimitate.

Il problema arriva se i prezzi delle azioni iniziano a salire rapidamente. Gli operatori che sono short riceveranno probabilmente una margin call, quindi avranno due possibilità: o mettere più soldi per mantenere la posizione, oppure chiuderla.

Se la scelta o l’obbligo li porterà ad una chiusura della posizione, dovranno procedere all’acquisto delle azioni per chiuderla. Questo può spingere il prezzo più in alto e costringere altri venditori allo scoperto a fare lo stesso. Ciò crea un ciclo di rafforzamento dell’acquisto e della spinta del prezzo verso l’alto. Questo meccanismo è conosciuto come short squeeze.

Vediamo il caso GameStop GME

Ad aprile del 2020, le azioni GME erano scambiate per circa 4$, rimanendo in quella fascia di prezzo fino ad agosto.

Le azioni sono salite costantemente per chiudere alla fine del 2020 a circa 18$, anche grazie ad alcuni grandi investitori che hanno acquistato le azioni della società. Ciò ha attirato i venditori allo scoperto, in particolare alcuni grandi hedge fund. Successivamente a metà gennaio, il titolo è balzato fino a raggiungere un prezzo di 65$.

Da quel momento, probabilmente, è iniziato lo short squeeze spingendo il titolo fino ai 325$ con un massimo che ha sfiorato i 500$.

Mentre le short squeeze non sono una novità, questa operazione non ha precedenti. Sicuramente protagonista di questa operazione è l’acquisto di azioni da parte di piccoli traders coordinatisi tramite il gruppo Reddit Wallstreetbets.

Molti tifano per i piccoli traders che stanno battendo i grandi speculatori istituzionali, vedendo rinnovata l’eterna sfida tra Davide e Golia.

E’ abbastanza chiaro che anche altre istituzioni sono in acquisto sul titolo.

Ora parliamo delle perdite degli hedge funds, i grandi sconfitti.

Questa operazione ha portato, dall’altro lato, delle grandi perdite. In particolare due fondi sono stati duramente colpiti: Citron Research e Melvin Capital.

Questa è davvero la prima volta che vediamo un grande investitore messo alla corda da un gruppo di traders che si coordinano via internet!

In un altro articolo analizzeremo un altro fattore: come le opzioni entrano in gioco in questa trama.

Rimanete collegati …

Chapter 11 – questo sconosciuto!

Il Chapter 11 nella legge fallimentare USA è un procedimento che  consente alle imprese in difficoltà di accedere ad una ristrutturazione delle proprie finanze al fine di massimizzare un utile di ritorno, sia per i creditori che per i proprietari.

Il Chapter 11 è stato messo in risalto dalle cronache quando diverse grandi aziende sono cadute in difficoltà finanziarie e hanno avuto bisogno di un intervento procedurale, al fine di salvaguardare la vita delle stesse, tra queste la General Motors, la United Airlines, la Lehman Brothers e K-Mart.

Qualche giorno or sono anche nel nostro blog ci siamo occupati di questo argomento analizzando la notizia che diverse aziende operanti nel settore energy hanno, appunto, avuto necessità di ricorrere alla procedura fallimentare.

Nella maggior parte dei casi il ricorso al Chapter 11 non ha un forte risalto mediatico. Si pensi che solo nel 2010, ad esempio, negli Stati Uniti sono stati depositati quasi 14.000 casi inerenti il Chapter 11.

Come si ricorre al Chapter 11 e chi lo può fare.

La procedura Chapter 11 inizia con il deposito di una istanza al  tribunale fallimentare dello Stato presso cui ha sede l’azienda. Spesso la procedura si instaura con la richiesta da parte della stessa azienda interessata. In questo caso è il debitore a prendere l’iniziativa. Resta, comunque, una facoltà dei creditori di unirsi per presentare una “involuntary Chapter 11 petition” contro il debitore inadempiente.

La maggior parte dei debitori apre la procedura nel luogo dove si trova la sede principale, oppure dove sono “domiciliati”.

Il ricorso al Chapter 11 di solito è promosso da società. Ma anche le persone fisiche possono presentare una richiesta della sua applicazione, nel caso che abbiano, però, tutte le condizioni  per poter beneficiare dei capitoli 7 e 13.

Quando possibile, tuttavia, la maggior parte dei debitori individuali sceglie di presentare una semplice istanza di fallimento ai sensi del Chapter 7 o 13. Questo per evitare i tempi, i costi e i rischi connessi al procedimento del Chapter 11. Si pensi che solo nel 2010, quasi 1,6 milioni di americani hanno presentato bancarotta ai sensi dei capitoli 7 e 13; un numero 100 volte superiore alle richieste di Chapter 11 presentate dalle società nello stesso periodo di tempo.

Cosa succede durante l’applicazione di un piano di Chapter 11

Non esiste un limite assoluto alla durata di un procedimento Chapter 11. In alcuni casi si conclude nel giro di pochi mesi. Ma spesso, tuttavia, ci vogliono da sei mesi a due anni per concludere una procedura

Durante questo periodo, nella maggior parte dei casi, non necessita la nomina di un fiduciario. E’ il debitore stesso che continua a operare con la sua attività ordinaria come ” debitor in possession ” (o “DIP”). Il tribunale fallimentare, se lo ritiene opportuno può, tuttavia,  nominare un fiduciario che prenda in consegna le operazioni dal debitore. I motivi per una tale scelta da parte degli organi amministrativi possono rilevarsi in presenza di presunta frode, disonestà, incompetenza e  cattiva gestione degli affari da parte del debitore.

Al tribunale fallimentare spetta, comunque, il controllo sulle decisioni più importanti.

Infatti al debitore o al fiduciario resta a carico l’ordinaria gestione della società ma perdono il controllo sulle decisioni di maggior rilievo che sono demandate, appunto, al tribunale fallimentare.

Tra le altre cose, il tribunale fallimentare deve approvare:

  1. qualsiasi vendita di beni sia mobili o beni immobili,  ad eccezione di articoli facenti parte dell’inventario iniziale, al momento dell’apertura del Chapter 11.
  2. l’inizio o la chiusura anticipata di un contratto di locazione
  3. la stipula di mutuo o altri accordi di finanziamento garantito
  4. la chiusura o l’espansione delle operazioni aziendali
  5. l’inizio o la modifica di contratti di fornitura o licenze di vendita,
  6. la conservazione e il pagamento di commissioni, parcelle e spese a avvocati e altri professionisti.

Ruolo dei creditori

I creditori, gli azionisti e le altre parti interessate possono sostenere o opporsi alle azioni che richiedono l’approvazione del tribunale fallimentare. Questo, nelle sue decisioni, prenderà in considerazione l’input dei creditori e di altre parti.

Anche i creditori non garantiti di solito partecipano al Chapter 11 attraverso un comitato che è nominato allo scopo di rappresentare i loro interessi. Il comitato dei creditori non garantiti può nominare avvocati e altri professionisti per assisterlo a spese del debitore.

Chapter 11 – il piano di riorganizzazione

Normalmente, il debitore ha il diritto esclusivo, entro quattro mesi dall’apertura della procedura Chapter 11, di proporre un piano di riorganizzazione. Questo lasso di tempo può essere prorogato fino a 18 mesi, in presenza di un giustificato motivo, verificato dagli organi amministrativi. Ma, per altrettanto giustificati motivi, il giudice può abbreviarlo.

Alla scadenza del “periodo di esclusiva”, sarà potere del comitato dei creditori o di altre parti del procedimento proporre piani di riorganizzazione “concorrenti”. Ma i piani “concorrenti” sono relativamente rari nei casi del Chapter 11. Più spesso, i creditori o altre parti, insoddisfatti del programma proposto dal debitore, si attivano per respingere il piano o convertire il caso al Chapter 7.

Possiamo, infatti, dire che il Chapter 11 è, in effetti, un contratto tra il debitore e i suoi creditori su come opererà e pagherà i suoi obblighi in futuro. La maggior parte dei piani prevede almeno un certo ridimensionamento dei debiti al fine di ridurre le spese e liberare le attività.

In rare occasioni, è possibile il pagamento completo e immediato di tutti i crediti. Ma è proprio per questa usuale metodologia di riduzione dei debiti che ai creditori è dato diritto di voto al piano proposto.

Conferma del piano Chapter 11

L’approvazione di un piano proposto viene definito “confirmation” e spetta comunque al tribunale. Prima di confermare un piano del Chapter 11, il giudice fallimentare deve verificare che lo stesso soddisfi diversi requisiti, tra cui:

  1. Fattibilità. Il tribunale fallimentare deve ritenere che il piano proposto sia fattibile, o in altre parole, in grado di essere realizzabile. Il debitore deve dimostrare al giudice in che modo raccoglierà le entrate per coprire le sue spese, compresi i pagamenti ai creditori.
  2. Buona fede. Il giudice deve ritenere che il piano sia stato proposto in buona fede e non con mezzi vietati dalla legge.
  3. Migliori interessi per i creditori. Affinché un piano proposto possa essere confermato, deve essere valutato nell’interesse dei suoi creditori. Nel Chapter 11, per “migliori interessi” si intende che i creditori ricevano almeno il saldo di una quota di debito pari a quanto spetterebbe loro se si procedesse ad una liquidazione ai sensi del Chapter 7. In alcuni casi, questa quota può corrispondere, addirittura, al 100% del debito, ma questo accade di rado.
  4. Giusto ed Equo. Il piano deve anche essere “giusto ed equo”, intendendo con questo la copertura dei debiti per un valore almeno pari alle garanzie creditorie, rappresentate per lo più da beni immobili.

Nella procedura del Chapter 11, i soci della società debitrice non hanno alcun diritto di mantenimento del valore azionario investito, a meno che tutti gli obblighi siano pagati per intero.

Il Chapter 11 funziona davvero?

I rapporti e gli studi indicano che solo il 10-15% dei casi del Chapter 11 terminano con procedure di successo. Purtroppo la maggior parte dei casi è respinta, per lo più per un mancato accordo tra le parti. Altre volte la procedura viene convertita in liquidazioni ex Chapter 7. Comunque, sia il licenziamento che la conversione di un caso del Chapter 11, richiedono l’approvazione del tribunale fallimentare

Le leggi sul fallimento comprendono, comunque, molte disposizioni speciali che aiutano a snellire e accelerare i casi del Chapter 11, che possono coinvolgere singoli “assests” e piccole imprese.

Valaris – Chapter 11-

Facendo seguito al post di qualche giorno fa, dove si avvertiva dei rischi connessi agli investimenti nel settore energy…ecco il caso Valaris.


Valaris, società con sede a Londra, fondata nel 2019 dalla fusione di Ensco Plc e Rowan Companies Plc., che possiamo definire la più grande proprietaria di piattaforme offshore al mondo per dimensioni della flotta, con le sue 16 navi da trivellazione, 12 semisommergibili, 54 jack-up e due unità adibite alle trivellazioni in acque profonde. Questa società, al pari delle sue rivali, la Noble Drilling e la Diamond Offshore, ha richiesto presso il Tribunale Fallimentare degli Stati uniti, per il distretto meridionale del Texas, l’attivazione del “Chapter 11”, una domanda di ristrutturazione finanziaria prevista dalla normativa USA, che consente alle aziende di continuare ad operare mentre ristrutturano il loro debito.



La Pacific Drilling SA, all’inizio di questo mese, ha detto che potrebbe tornare al tribunale fallimentare per la seconda volta in meno di tre anni, e la Transocean Ltd., il più grande proprietario al mondo di piattaforme petrolifere in acque profonde, ha detto che sta esplorando alternative strategiche.
L’industria offshore è in difficoltà da quando, nel 2016, il prezzo del petrolio è sceso a meno di 30 dollari al barile, dopo aver superato i 100 dollari a metà del 2014! Anche se attualmente le trivellazioni in acque profonde sono meno costose dell’epoca, richiedono ancora molto tempo per essere operative, rispetto ai pozzi di scisto a terra e, in genere, sono più costose, lasciandole in una posizione di svantaggio in questo periodo in cui, causa Covid, tutto il mercato del greggio è crollato

La Valaris è stata colpita dagli effetti combinati della pandemia globale COVID-19, del calo dei prezzi del petrolio e della diminuzione della domanda di servizi con il crollo delle tariffe delle piattaforme.
Tom Burke, Presidente e Amministratore Delegato di Valaris, ha dichiarato: “La sostanziale flessione del settore energetico, esacerbata dalla pandemia COVID-19, ci impone di fare questo passo per creare un’azienda più forte in grado di adattarsi alla prolungata contrazione del settore e di continuare a migliorare la nostra posizione man mano che le condizioni generali del mercato miglioreranno”.
Burke ha continuato: “Abbiamo fatto diversi passi per dimensionare e razionalizzare la nostra organizzazione, in linea con il nostro obiettivo di essere  leader nei costi di trivellazione offshore. Ora,intendiamo utilizzare questa ristrutturazione per creare una struttura finanziaria più forte per la società. Valaris continuerà a servire i nostri clienti ininterrottamente grazie a questo processo, offrendo operazioni sicure e affidabili, con la sua flotta di piattaforme di perforazione ad alta capacità.”.
Burke ha concluso: “Apprezziamo il continuo supporto di tutti i nostri investitori durante questo processo, in particolare dei nostri dipendenti che continuano a fornire un servizio eccellente ai nostri clienti in condizioni di mercato difficili, pur mantenendo i valori Valaris di integrità, sicurezza, eccellenza, rispetto, ingegnosità e gestione aziendale”.
A partire da maggio, l’azienda impiegava 5.800 persone in tutto il mondo.
Ad aprile ha annunciato che avrebbe tagliato fino a 330 posti di lavoro a seguito della crisi, ma non ha rivelato ulteriori tagli previsti.
Burke ha inoltre dichiarato di aver stipulato accordi con circa il 50% dei suoi creditori per sottoporsi “a una ristrutturazione finanziaria che ha lo scopo di ridurre sostanzialmente il suo carico di debito, sostenere la continuità delle operazioni durante l’attuale contesto di minore domanda e fornire una solida piattaforma finanziaria per trarre vantaggio dalla ripresa del mercato nel lungo termine”.
E’ comunque impaziente di lavorare con gli altri creditori e investitori che non hanno firmato gli accordi previsti dalla procedura “Chapter 11”.
I risultati del primo semestre, che si sono conclusi il 30 giugno, hanno mostrato perdite per 4,28 miliardi di dollari, al lordo delle imposte, con un debito totale a lungo termine di 6,6 miliardi di dollari.
Tuttavia, Valaris ha dichiarato di essere “fiducioso” di “operare  e di mantenere il normale svolgimento degli affari” avendo 675 milioni di dollari di liquidità.
“I nostri clienti non dovrebbero subire interruzioni dei servizi durante questo processo. I nostri contratti rimangono intatti e funzioneremo come al solito. Il processo di ristrutturazione non influirà sulle tariffe giornaliere”, ha detto Burke.


CRESCITA ECONOMICA: I REQUISITI DI UN OBIETTIVO BEN FORMATO – prima parte

Nashira

Se parliamo di crescita economica stiamo dicendo a noi stessi di volerci dirigere verso l’abbondanza. Ci stiamo spostando mentalmente dalla “mancanza” verso l’abbondanza. Vogliamo dare una nuova direzione alla nostra vita.

E’ importante partire da un’idea di abbondanza anziché di scarsità e ragionare in senso positivo, focalizzando l’attenzione non tanto sui problemi di cui ci vogliamo sbarazzare (penuria economica, mutuo da pagare, rate della macchina nuova) quanto piuttosto su ciò che intendiamo realizzare. L’intenzione è quella che ci guiderà verso il successo.

Questo nuovo punto di vista deve poi essere radicato nella realtà per non rimanere a tempo indefinito nella categoria dei sogni irrealizzati. Dobbiamo definire cosa vogliamo e entro quale data.

La differenza tra un sogno e un obiettivo è una data (W. Disney)

Walt Disney

Cosa vuol dire? Un sogno rimane tale finché resta nei nostri pensieri, ma se lo caliamo nella dimensione temporale dandogli una data di scadenza, un termine entro il quale realizzarlo, abbiamo anche la spinta propulsiva che ci occorre per farlo diventare reale.

All’interno del limite temporale che abbiamo scelto dobbiamo poi dargli una forma. Trasformare un sogno in un obiettivo.

        La PNLProgrammazione Neuro Linguistica – fondata negli Stati Uniti, negli anni settanta, da R. Bandler e J. Grinder, ricercatori nel campo dello sviluppo personale, ha elaborato tecniche efficaci per migliorare la capacità di comunicazione, liberarsi da convinzioni negative, aumentare il livello delle proprie performance in ogni campo: studio, lavoro, crescita personale.

La PNL può essere definita una metodologia volta a identificare efficaci strategie di pensiero che possono essere imparate e utilizzate da chiunque.

Tra queste strategie per pianificare e raggiungere il successo troviamo la definizione di obiettivo.

        Perché un obiettivo si possa definire ben formato deve avere caratteristiche tali da renderlo efficace e realizzabile e avere specifici requisiti.

Occorre formulare il nostro obiettivo con le seguenti caratteristiche:

positivo e specifico

misurabile

realizzabile in autonomia

in armonia con te stesso

temporalmente definito

ecologico

POSITIVO: ossia espresso, dal punto di vista linguistico, in modo positivo in quanto il subconscio ignora le negazioni; la domanda da porsi è: che cosa desideri?

SPECIFICO: che cosa vuoi di preciso? Bisogna analizzare i singoli aspetti dell’obiettivo da raggiungere non basta che sia espresso in modo generico deve rispondere alle domande COME PERCHE’ CON CHI.

MISURABILE: il raggiungimento dell’obiettivo deve essere un fatto oggettivo basato su elementi misurabili e non solo su una valutazione soggettiva. Quali sono gli stati e le condizioni che ti dicono che il tuo obiettivo è raggiunto?

REALIZZABILE IN AUTONOMIA: posso farlo? Posso gestire io il processo? Quanta parte della realizzazione di questo obiettivo è sotto il mio diretto controllo?

IN ARMONIA CON TE STESSO: ti fa brillare gli occhi, non vedi l’ora di attuarlo? Raggiungere il tuo obiettivo ti fa stare bene? Ti da sensazioni positive?

TEMPORALMENTE DEFINITO: definire tempi precisi per raggiungere l’obiettivo, quando saprai di averlo raggiunto?

ECOLOGICO: In che modo andare in questa direzione influirà sulla tua vita? Vale la pena andare in questa direzione? quale impatto avrà su di te e sugli altri? E’ importante valutare in anticipo le conseguenze in quanto raggiungere l’obiettivo in nessun caso deve arrecare danno a te stesso e agli altri.

In un prossimo post analizzeremo in modo più approfondito le fasi di questo processo soffermandoci anche sugli stati emotivi e sull’uso di strategie utili come i piani d’azione suddivisi in fasi.