Chi non conosce il marchio Branca e il suo prodotto più prestigioso il Fernet Branca?
By Nashira
Branca è un nome conosciuto in tutto il mondo. Una azienda italiana che costituisce una delle tante nostre eccellenze, che esporta il suo prodotto di punta in centottanta Paesi. Un’azienda antica, fondata nel 1845, che fin dalle sue origini ha espresso l’intenzione di coniugare tradizione e innovazione onorando il suo motto: “Novare serbando”. Una azienda oggi proiettata nel futuro, dotata di sistemi tecnologici avanzatissimi ma che ha conservato un “fare” antico nell’attenzione posta alla qualità del prodotto, alle materie prime utilizzate e alla loro lavorazione.
Una eccellenza dove il “fare” antico, qualità tutta italiana, mette in luce la possibilità di un processo creativo anche all’interno di una produzione industriale. Processo creativo che ci lega alla nostra grande tradizione è, infatti, risaputo che siamo il paese con il più grande patrimonio artistico al mondo e con una tradizione artigianale di altissimo livello. La nostra peculiarità é un processo produttivo dove “impresa” si intreccia con l’individuo, la storia e il territorio.
All’interno di questo quadro vorrei far conoscere, almeno in parte, la storia di Niccolò Branca, Presidente e amministratore delegato della holding del Gruppo Branca International S.P.A. dal 1999, come lui stesso la racconta in uno dei suoi primi libri: “Per fare un manager ci vuole un fiore” edito da Marcos Y Marcos.
La sua è una storia interessante e particolare in cui sono strettamente intrecciate la vita di imprenditore e la vicenda personale.
All’inizio degli anni novanta Niccolò Branca comincia ad interessarsi di psicologia umanistica e della psicosintesi di Assagioli. Seguendo una serie di sincronicità approda ad un corso di meditazione tenuto dalla professoressa balinese Luh Ketut Suryani. Abbraccia il suo metodo di meditazione trascorrendo a Bali un lungo periodo. Ricevendo gli insegnamenti di Suryani cambia la sua consapevolezza: “la meditazione ci fa sintonizzare con il flusso fuori e dentro di noi” “quando siamo in sintonia con esso [il Flusso dell’energia] qualsiasi cosa decidiamo di affrontare lo facciamo nella maniera giusta sia per noi sia per gli altri”
Dopo questo percorso di crescita e dopo un’assenza di dieci anni nel 1999 Niccolò torna in azienda dove porta la sua nuova visione “organizzando l’azienda come un essere vivente, come un’anima fatta di tante anime interconnesse, le anime di tutte le persone che vi lavorano” “una visione capace di unire mondi diversi, e solo apparentemente lontani, quali sono quelli del lavoro e quello della spiritualità” “un modo nuovo di fare economia nel rispetto delle persone, dell’ambiente e del ritorno finanziario”
Riflette sul significato di essere imprenditore: “ciò che ritengo veramente imprescindibile nella figura dell’imprenditore è un giusto equilibrio tra intelligenza, cuore e coraggio”. Intelligenza per capire i contesti e promuovere nuove idee, il coraggio per realizzarle ma anche il cuore per chiedersi se saranno vantaggiose “non solo per sé stessi, ma anche per l’azienda, per il territorio, per la collettività”.
Dopo pochi anni, nel 2001, si trova ad affrontare una drammatica sfida in Argentina dove la Fratelli Branca è attiva da moltissimi anni. “A volte ci accadono cose che possono cambiarci la vita in un istante, mostrarci noi stessi e il nostro cammino. Da questi eventi può nascere la consapevolezza di poter fare qualcosa di utile, qualcosa da condividere con gli altri”.
Così l’esperienza presso la Fratelli Branca Destilerìas divenne una delle esperienze più rilevanti della sua vita.
Benché non ci fossero ancora segnali eclatanti, Niccolò ebbe la chiara visione di un’Argentina che si stava avviando verso un problema di considerevoli dimensioni. Prendendo una decisione coraggiosa decise di far uscire dal Paese il denaro della società trasferendolo, in modo legale, all’estero contro il parere dei manager dell’azienda ma “ero nel Flusso e, nonostante il diverso parere di chiunque altro, sentivo che quella era la cosa giusta da fare”. Capì che per salvaguardare la situazione e mantenere viva la Fratelli Branca Destilerìas era assolutamente necessario tutelare quel denaro e lo trasferì immediatamente all’estero. Dopo quattro mesi cadde il governo. Il nuovo ministro dell’economia argentino abbandonò la parità 1 a 1 dollaro peso e il tasso di cambio schizzò a quasi 4 pesos per dollaro. Furono, inoltre, bloccati tutti i conti correnti bancari. Senza il trasferimento effettuato quattro mesi prima il capitale societario si sarebbe ridotto la metà della metà.
L’autoconsapevolezza diede a Niccolò chiarezza nella visione e la capacità di attuare scelte coraggiose e controcorrente “imparare a sentire nel profondo di noi stessi, al di là della logica razionale, qual è la cosa più giusta da fare”.
Quando la situazione esplose, l’economia collassava, e l’Argentina dichiarò default molti imprenditori e investitori stranieri ritirarono il proprio denaro dal Paese. Anche Niccolò ricevette pressioni per chiudere o perlomeno ridimensionare l’azienda. Invece quello che fece fu mettere in atto un processo creativo per trovare una soluzione per la Fratelli Branca Destilerìas. Decise di cambiare strategia produttiva e proporre al mercato sofferente una sottomarca, un amaro di pronta beva, poco invecchiato e poco costoso. Per uno di quegli intrecci fatali del destino il nonno di Niccolò aveva acquisito negli anni Quaranta, ma senza metterla mai in produzione, la proprietà di una sottomarca argentina. Quindi c’erano già un marchio, una bottiglia, un’etichetta per la nuova produzione.
Questo prodotto permise a Niccolò Branca di traghettare l’azienda fuori dal default. Non ci furono guadagni ma neppure perdite di denaro, non fu necessario ricorrere alle banche perché il capitale che era stato salvato costituiva una concreta sicurezza e non fu necessario licenziare nemmeno una persona.
La Fratelli Branca Destilerìas riuscì ad attraversare quegli anni difficili. “…osservavo la situazione e cercavo semplicemente di sentire, nel profondo di me stesso, quale fosse la cosa più giusta da fare” “la nostra è stata una delle aziende che, in un momento tanto critico, non ha chiuso i battenti né ha preso provvedimenti di riduzione del personale. E’ stata capace invece di restituire qualcosa all’Argentina, di dare speranza e lavoro alle persone, condividendo insieme a loro quel momento così difficile”
In uno dei primi capitoli del suo libro pubblicato per la prima volta nel 2013 Niccolò Branca scrive queste parole: “Il difficile periodo che tutto il mondo sta vivendo non è una crisi di passaggio, è una crisi che chiede a tutti noi una risposta di lungo respiro, un cambiamento radicale, totale, vero. Il vero cambiamento che siamo chiamati a fare è prima di tutto interiore: è un cambiamento della coscienza.”
Parole che mi sembrano quanto mai attuali oggi. Può la visione di Niccolò Branca fornire spunti per riflettere sull’emergenza che stiamo vivendo oggi e indicare una possibile via d’uscita?
Certamente apre una riflessione sulla possibilità di cambiare livello di consapevolezza e aprirsi ad un pensiero più inclusivo che accoglie anche le difficoltà come opportunità: “….dobbiamo accogliere tutto ciò che viene dalla vita come un’opportunità. Accettazione, quindi, non come passività ma come occasione di salto evolutivo. Perché noi siamo qui per evolverci.”
Può mostrare una modalità di rapportarsi alla produttività più olistica nel senso di considerare tutti gli aspetti dell’essere “non considerando alternativi la spiritualità l’etica e il profitto che deve necessariamente provenire da una attività di tipo economico”. Sollecita ad allargare la consapevolezza oltre la mente razionale anche al cuore e all’intelligenza creativa e con l’apporto di queste forze cercare la strada giusta che “è quella che apporta maggiori benefici a tutti gli attori coinvolti”.